Di Pierfranco Bruni
Gabriele D’Annunzio ha molto amato la cultura albanese. Quella “albanesità” sospesa tra l’Adriatico e il Mediterraneo. Un richiamo che è evidente nelle testimonianze e nella scrittura. D’Annunzio aveva studiato e conosceva bene le imprese del condottiero e del personaggio Skanderbeg. Un costante confronto con l’Albania ha portato D’Annunzio ad approfondire cultura, costumi e storia ma nello stesso tempo gli scrittori e i poeti albanesi hanno sempre tratto da D’Annunzio stimoli e segni letterariamente problematici. Delle presenze ad intreccio portano sulla scena riferimenti significativi.
“Si trovano palesi testimonianze della simpatia di Gabriele D’Annunzio verso l’Albania e gli albanesi visitando l’interno del Vittoriale. Nella Stanza delle Reliquie, proprio sull’altare dei cimeli di guerra e dei simboli religiosi, si può ammirare un rarissimo esemplare rilegato in pelle dell’opera su Scanderbeg dell’abate scutarino Barletio, in versione tedesca del 1561. E’ se la memoria non mi falla, uno dei quattro o cinque libri ammessi dal Poeta in quella parte mistica della sua dimora”. E’ ciò che scrive Ernesto Koliqi in Saggi di Letteratura Albanese (Olschki, 1972), nel capitolo dedicato a “Gabriele D’Annunzio e gli Albanesi”.
La presenza di D’Annunzio nella letteratura albanese è ben specificata, negli studi di Koliqi, attraverso una visione artistica e culturale che pone al centro una dimensione di cultura orientale. Gabriele D’Annunzio amava la letteratura albanese. E molti scrittori albanesi lo consideravano un maestro. Ci sono testimonianze importanti che lo dimostrano. L’oralità della poesia albanese ha una sua profonda venatura musicale. In questa musicalità, che deriva, d’altronde, da un bagaglio di esperienze letterarie (ma anche antropologiche, ovvero di una musicalità corale, danzata sul ritmo delle parole) italo -albanesi, l’accentuazione del verso dannunziano non può essere negato.
Non per caso la poesia albanese contemporanea risente del battuto lirico alcionico. Fu il poeta Lazzaro Shantoia a tradurre “La pioggia nel pineto” nel 1942 sul giornale letterario “Tomorri i’ vogel (ovvero “Il piccolo Tomorri”). Ma tutta l’impostazione letteraria di Shantoia è strutturata sulla lezione dannunziana. Così pure la formazione di un altro scrittore quale fu Bernardino Palaj (1887 – 1946) o le traduzioni di Masar Sopoti (1916 – 1945), il quale tradusse D’Annunzio nella pagina letteraria in lingua albanese della “Gazzetta del Mezzogiorno” di Bari dove Sapoti rivestì il ruolo di redattore.
Ma non è soltanto questo che ci fa stabilire questo rapporto tra D’Annunzio e l’albanesità. D’Annunzio ebbe rapporti anche con il poeta Giorgio Fishta. Comunque, Ernesto Koliqi, come si è già sottolineato, ha dedicato al rapporto D’Annunzio e mondo albanese delle pagine singolari che restano nella storia di questa letteratura. D’Annunzio aveva, in fondo, uno “spirito islamico” forgiato su una visione quasi bizantina di un modello storico e culturale che aveva caratterizzato molti suoi scritti. Questa “albanesità” che si accenna in D’Annunzio ha, indubbiamente, ramificazioni di una testimonianza basata su definizioni che portano ad una identità letteraria mediterranea. Non si può prescindere da questi legami.
C’è proprio una testimonianza del Koliqi nella quale si sottolinea: “Partendo dall’insegnamento dannunziano, alcuni fra i più dotati giovani scrittori intorno al 1930 aumentarono le possibilità espressive della maschia lingua schipetara e, senza lederne il sano midollo eroico – patriarcale, che ne testimonia l’antica nobiltà, la piegarono a esprimere con più sottile perizia i moti interiori e a descrivere con più lucida precisione vicende e ambienti moderni fino allora sconosciuti alla vita e alle lettere albanesi, a evocare con toni sfumati epoche e momenti suggestivi del passato, a soffondere di vaporosità sognanti il bisogno d’evasione della vita quotidiana”.
Una forte espressione di fedeltà al messaggio letterario dannunziano. Koliqi, grande estimatore di D’Annunzio. Va anche oltre quando afferma: “Il D’Annunzio, fra i maestri di stile, fu quello che ci spinse, noi scrittori albanesi che ne ammiravamo la portentosa magia verbale, a perfezionare quel misterioso strumento di umana comunicazione, che è la lingua di una nazione e a renderla idonea alle esigenze letterarie dei nuovi tempi”.
Linguaggio e rapsodia sono elementi importanti nella comunicazione dannunziana. Sono alla base della poesia albanese ma ancora prima di quella poesia italo – albanese. Una lezione di stile ma anche una visone identitaria sui processi di cultura. D’Annunzio vedeva in Scanderbeg un riferimento forte. Lo considerava un eroe nazionale. E non solo. Ma la sua presenza nella letteratura albanese anche oggi resta costante.
Il mito, la favola, la magia della memoria restano e contano più della storia.