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SOGNO E UTOPIA NELLA POESIA DI MARIA TERESA LIUZZO

… E A LETTURA FINITA IL GROSSO VOLUME, CON LE 200 PAGINE OCCUPATE DALLE LIRICHE E LA SETTANTINA DELLE PRESENTAZIONI E DAI GIUDIZI CRITICI, SI CONFIGURA COME UN TRAGUARDO VITTORIOSO; AMBITO E RAGGIUNTO, CHE MERITATAMENTE LAUREA MARIA TERESA LIUZZO FRA LE PRINCIPALI POETESSE DEL NOSTRO TEMPO

di Carmelo Ciccia (Latinista – Dantista – Critico Letterario – Scrittore)

Che cosa si può scrivere su questa voluminosa raccolta di liriche di Maria Teresa Liuzzo dall’emblematico titolo EUTANASIA D’UTOPIA (Jason Ed, Reggio Calabria, 1997, PAG. 272, £ 30.OOO), dopo l’ampia e profonda prefazione – vero e proprio saggio letterario – d’un critico quale Vincenzo Rossi, dopo tutto quello che spesso si legge d’essa sui giornali e le riviste e dopo il nutrito corredo d’entusiastiche presentazioni, recensioni e altri giudizi sulla poesia e la personalità dell’autrice da parte dei critici più o meno autorevoli? In un caso del genere il compito d’ogni nuovo critico si presenta quanto mai difficile, per il rischio di ripetere cose già dette o di apparire come una nota stonata. La via dell’adeguamento e della ripetizione certamente appare la più comoda, ma è nostro costume seguire quella dell’autonomia: e quindi scriviamo la presente nota in totale autonomia e come se non avessimo mai sentito parlare di Maria Teresa Liuzzo. A prima vista rileviamo la ponderosità del volume: quasi trecento pagine, di cui duecento occupate dalle liriche: troppe per un libro del genere, che potrebbe essere preso per un classico mattone, sfavorito anche da caratteri e inchiostro poco risaltanti.

Perciò, per una migliore ”degustazione” della sua produzione, la poetessa avrebbe potuto dividere questa raccolta in quattro – cinque volumetti e diluirli nel tempo. Si aggiunga che le liriche sono di notevole lunghezza, inconsueta ai giorni nostri, alcune arrivando quasi a cento versi, e quasi tutte sono connotate dall’ipérbato, peculiarità dello stile della Liuzzo. E’ vero che questa figura sintattica è frequente nella poesia, specialmente classica, per mettere in rilievo certe parti piuttosto che altre: ma un uso pressoché costante d’essa, consistente nell’abituale posposizione del soggetto e del suo predicato al suo complemento, può rendere difficile l’immediata comprensione dei testi.

Eppure queste difficoltà iniziali non devono scoraggiare il lettore, il quale, una volta resosi conto della peculiarità e abituatasi ad essa, troverà in questa poesia, spesso scandita da massime ed epifonemi, motivo di vero godimento estetico e spirituale. Anzitutto la musicalità. Il libro di Eutanasia d’utopia scorre sull’onda d’una sottesa musicalità abilmente ottenuta con la metrica e con lagiusta scelta e collocazione dei vocaboli. Non occorrono riletture minuziose per rilevare quest’effetto: basta una lettura attenta e non distratta. E poi c’è il tono generale della confessione, sommesso e apparentemente dimesso, cui probabilmente contribuisce il non sempre gradito ipérbato: tono che avvicina la poetessa al lettore e ne fa quasi la confidente. E’ così che lei ci apre il suo animo e noi possiamo apprezzarne la sincerità, l’onestà, il coraggio, magari pensando d’esserle vicini, di comprenderla e di darle la nostra amicizia, quando lei sui fili della sua poesia o-stende delusioni, incomprensioni, amarezze, sofferenze, dubbi, paure, sconforti. Sì, perché questo è la poesia di Maria Teresa Liuzzo, ed altro ancora, come la forza di andare sempre avanti, nonostante tutte le avversità e asperità: cosa che, in un contesto chiaramente pessimistico, non può non ricordarci il titanismo leopardiano del poemetto ”La ginestra”.

Perciò a volte pensiamo d’essere in pieno romanticismo, quando vediamo che protagonista assoluta delle sue liriche e delle sue pagine è sempre lei, Maria Teresa Liuzzo, con la sua individualità, il suo intimismo, i suoi sogni, le sue ansie, le sue frustrazioni. La poetessa ha trovato nella poesia una valvola di sicurezza delle sue tensioni: delicatamente ci prende per mano per portarci nel suo mondo interiore; e se all’inizio ciò può lasciarci perplessi, dopo, quando abbiamo ”assaggiato” la sua poesia, restiamo volentieri con lei. Forse ci sono delle affinità che attraggono e trattengono.

A volte invece il tono sommesso ci fa credere d’essere in pieno decadentismo, mentre certe composizioni oscure ci richiamano l’ermetismo; e ci vengono in mente poeti ora come Baudelaire e Mallarmé, ora come il primo D’Annunzio e Ungaretti, ora come Pérez de Ayala e Jiménez. Ecco allora che appena colta l’essenza della Liuzzo non ci stanchiamo della lunghezza delle liriche né della numerosità delle pagine, ché anzi alcune liriche vogliamo leggerle più volte e altre speriamo di ritrovarle più avanti, se non uguale almeno simili. Indubbiamente restiamo colpiti non soltanto dal candore e della delicatezza della poetessa, ma anche dall’abilità con cui ella sa elaborare le sue composizioni: sicché non ci poniamo il problema se c’interessa di più la donna o la poetessa, essendo evidente che c’interessa insieme la donna – poetessa, alla quale non possiamo non dire grazie per averci offerto lo scrigno del suo cuore e della sua intelligenza. Enucleiamo ora alcuni temi e motivi di Eutanasia d’utopia, servendoci delle stesse parole della poetessa.

Vita, solitudine, dolore, morte: ”Estranea tra gli estranei / (…) / Chi sono? Non lo so. / Forse uno spago di vento / che annoda chiome di fuoco” (pag. 33).”Null’altro sono / che stelo inaridito / nell’aurora del silenzio.” (pag. 39). ”Di certo già sapevi / che solo l’inganno / è l’ora del tramonto / e i ricordi pianto.” (pag.45). ”Siamo solo voci / trascinate dal tempo, / commemorate dalle acque.” (pag. 49). ”Nube sono / di sabbia / nell’avorio dei venti / e cado come la morte.” (pag. 53). ”Ambiguo non sarà oltre foschia / il sonno rutilante della vita.” (pag. 56). ”Il ritmo seleziono del respiro / nell’inventare un’immagine / che mi faccia sentire meno sola. / L’ansia dell’attesa / è l’attesa dell’ansia.” (pag. 101). ”Cerco nell’impossibile / il bandolo della ‘probabilità’ / di questa vaga esistenza.”(pag. 102). ”Erba siamo del giorno / ed uragano s’abbatte sulla sciagura. / Nati siamo per morire: / nessuno ode la pietà del fango. / L’attimo è morte.” (pag. 115). ”Sono una pietra vivente / dove l’astro batte / a mezzanotte / perché rivedere io possa / tutti i fantasmi nati / nell’arco sventurato / di una vita.”       (pag.135). ”E mi chiedo / che cosa sia la Morte / e l’uomo: (…) Appaiono i loculi del passato / e noi umani / come panni smessi / appesi siamo / al filo arrugginito / della malinconia: / pupazzi senza parola, / ossa senza rumore: / occhi vitrei / gettati nella ”rotula del niente.” (pag. 151). ”Noi uomini siamo, / figli del male / che incarniamo il Verbo / nella prigione di una cornice.” (pag. 170). ”L’amore amaro e triste della vita” (pag. 174). ”Come fiume si corre / tra finito e infinito / (…): con la nostra pena d’accanto.” (pag. 174).”Anche il sonno / è un nemico da combattere.” (pag. 191). ”Respiro la luce amara del dolore.” (pag.194). ”Dai chiodi del tempo crocifissa” (pag. 199). ”Il male è unformicaio.” (pag. 200). ”Aria siamo / erba / che la ”memoria” trafigge e nulla ha importanza / ora che tutto è unico punto / nell’eterna illusione del sacro ritrovarci. / Amami DAIMON / sino a che la polvere / giustizia al mondo renda. / Sono la tua ombra, / quella di sempre” (pag. 216).

Aldilà: ”E nulla mi attende / nella piaga di quell” ‘oltre’ / se non quel raggio finito / di vita/ in quest’atroce immenso / che disgiungendo attrae.” (pag. 111). ”L’attesa è una bambola rotta / che nell’abisso geme / di questo viaggio.” (pag. 129).

Dio, religione: ”Alla ricerca sono / disperata di un Dio / che lontano trovo.” (pag. 20). ”Mostrati o Signore / prima che la notte mi sorprenda.” (pag. 35). ”Grazie o Signore! (…) Cerchiamo quel Dio / che ci faccia ancora sentire ‘Fratelli!’ (pag. 37). ”Natale ’95 / (…) la nenia dei pastori / dove scarlatto s’accese / il divino vagito / del Tempo.” (pag. 58). ”Migliori saranno / i nostri giorni / se perdonare sapremo. / Accordaci Padre / il beneficio del dubbio.” (pag. 112).

Speranza e fiducia: ”Tu anima bussi / alle scogliere della calma.” (pag. 53). ”Non ho voluto ribellarmi / all’intimo ‘crudele’.” (pag. 89). ”Solo luce di pensiero / è l’eden che respiro.” (pag. 155). ”Nella misera luce / l’arcobaleno colgo della terra / su cui poggiare il capo, / in cima alla speranza.” (pag. 162). La fiducia è una ”croce” leggera: / a furia di portarla / non se ne avverte il peso / e non potrei liberarmene.” (pag. 188).

Altri temi: Paesaggio silenzioso e triste (pagg. 42, 50, 97), donna d’Aspromonte (pag. 70), memoria (pag. 97), loculi, crani, teschi sanguinanti, vermi (pagg. 104, 151, 177, 200) progresso – regresso (pag. 127), guerra (pag. 149), madre (pag. 151), affamati e consumisti (pag. 174)…

Molte sono le liriche che andrebbero interamente citate e commentate; ma per impossibilità di spazio ne abbiamo scelta una molto valida, che sicuramente lo merita: 

LA MEMORIA

Consunto il lutto / fiorisce la memoria / altre sembianze. / Quel mare calmo / che ci trascina al nulla / è silenzio che adorna / l’eternità delle cose. / La vena avvolgere sento / lo stelo di ogni vita. / Il mondo ripercorro delle favole / in quest’ultima sera / dove l’onda s’annulla / a ogni precipizio/ in questa terra che trema) al vento che fugge / e queste mani / strette nella polvere / rammenderanno il senso / del finito.

Ad un’analisi semantica le espressioni negative (consunto, lutto, nulla, silenzio, la vena avvolgere, stelo di ogni vita, ultima sera, annulla, precipizio, terra che trema, vento che fugge, mani strette nella polvere, senso del finito) supereranno di gran lunga quelle positive (fiorisce, altre sembianze, mare calmo, adorna, eternità delle cose, favole). Ma ciò che ci attira non è soltanto il contenuto della lirica, che è perfettamente in linea con quello di quasi tutte le altre del volume, quanto l’abilità e la finezza con cui essa è elaborata. L’andante musicale del primo periodo esalta una moderata euforia o perlomeno sicurezza, mentre nel secondo periodo la sicurezza si trasforma in consapevolezza, a volte ironica,dell’ineluttabilità del fato; e, dopo il ricordo di momenti fiabeschi, con la riaffermazione del nulla, la lirica procede in modo concitato in una serie di negatività che trovano la loro sublimazione nelle mani strette nella polvere e nella generale finitezza.

In questa lirica, come in tutto il libro, c’è davvero l’eutanasia d’utopia; la dolce morte, lenta e inesorabile, del sogno di felicità della poetessa e d’ogni essere umano; sogno che pertanto ad una visione disincantata, esperta, scaltrita e realistica, si rivela utopia. La successione dei concetti, le inferenze, la costruzione dei versi, le giuste pause e la lene musicalità conferiscono al complesso un’aurea di struggente malinconia e di solenne meditazione e rivelano l’intelligenza, la competenza e soprattutto la dolcezza della poetessa, che ha saputo produrre con grazia ma con fermezza questi pensieri e queste espressioni, offrendoci non solo belle immagini ma anche occasioni di profonde riflessioni. E a lettura finita il grosso volume, con le 200 pagine occupate dalle liriche e la settantina dalle presentazioni e dai giudizi critici, si configura come un traguardo vittorioso, ambito e raggiunto, che meritatamente laurea Maria Teresa Liuzzo tra le principali poetesse del nostro tempo.

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