Di Nicola Eynard
Ti ho amata dopo un giorno che ero qui, non so spiegare perché. Sono subito entrato in sintonia con il tuo genius loci, con le persone, con le atmosfere.
In questi sei anni ti ho vista diventare sempre più esuberante e vivace. E soprattutto ti ho vista crescere, ma in modo, ahimè, assurdo.
Lo sviluppo edilizio è bulimico: si sta mangiando i resti dei villaggi da cui sei nata, ma anche le colline a sud, le sponde del lago di Fark, perfino le pendici del monte Daithi.
Ai mega cantieri ovunque sono abituato, ma ieri ho visto che sta per sorgere un’enorme torre in una delle pochissime aree verdi pubbliche del centro, dietro a piazza Skanderbeg.
Un nuovo spillone conficcato nel tuo cuore:
mi è sembrato davvero troppo!
Non sto a ripetere quello che qui dicono tutti sulle ragioni di questo incontrollato boom edilizio, che sicuramente arricchirà qualcuno, ma non certo i tanti giovani e meno giovani che ogni giorno, a centinaia, continuano a lasciarti.
Li capisco. Cosa se ne fanno di tutte queste montagne di cemento luccicanti e vuote, ai piedi delle quali si fa sempre più fatica a respirare?
L’estate è stata caldissima e tu stai diventando un’immensa isola di calore. Ma qui sembra che il ruolo del verde come elemento di mitigazione ambientale non interessi a chi deve occuparsi di te.
Il Piano urbanistico Tirana 2030, elaborato dallo Studio Boeri nel 2017, parlava di un nuovo rapporto tra città e natura, di foreste orbitali, di corridoi ecologici. Ma devono averlo chiuso in un cassetto e buttato via la chiave.
Sembra che non ci sia nessuna visione, non dico a lungo termine, ma nemmeno nel medio periodo. L’unica strategia è: sfruttiamo il suolo più che possiamo, finché possiamo, poi si vedrà.
Continuerò ad amarti e a seguirti, cara Tirana e spero che te la caverai, anche quando scoppierà la bolla.
Ma temo ci vorrà tempo per curare le ferite che stai subendo ❤️