Di Carlo Bollino
Che tristezza fa il giornalismo italiano all’estero. Ogni volta che una troupe televisiva sbarca in Albania, non riesce a raccontare altro che luoghi comuni. Sarà il poco tempo a disposizione dei colleghi che vengono mandati qui con l’ordine di finire il più presto possibile al minor costo possibile, o sarà che forse è più semplice raccontare agli italiani quello che già si aspettano di sentire, e non qualcosa di nuovo che potrebbero magari non capire.
Ma il risultato è quasi sempre approssimativo, superficiale, confuso e terribilmente conformista. Ho seguito sui Raiplay la puntata di ”Narcotica”, una inchiesta prodotta da RaiTre in parte dedicata al ruolo dell’Albania nelle rotte del narcotraffico.
L’ho scoperta per caso, dopo che un frammento di questa inchiesta è stato usato come al solito da qualche partito albanese per trovare conferma alle proprie tesi: ”Lo dice la televisione italiana, quindi è vero” è il ragionamento. Un tempo forse era così, ma è da anni che ha smesso di esserlo.
L’Albania raccontata dentro ”Narcotica” è brutta, sporca e cattiva proprio come la cultura sovranista ormai imperante in Italia si aspetta che sia. E pur di giungere a questo messaggio, il racconto segue la tecnica rischiosa del mosaico, fatalmente costruito però con tessere che non hanno alcun legame tra di loro, pescate a caso dentro 27 anni di storia del paese e piazzate lì, in pieno schermo, a comporre una scena che viene venduta come fosse vera e attuale.
Episodi di cronaca di 20 anni fa sono stati messi accanto a fatti di cronaca accaduti ieri, e sembra che l’uno sia conseguenza dell’altro ed invece c’è di mezzo un secolo. Un poliziotto albanese ucciso nel corso di un’operazione antidroga a Lazarat viene citato di striscio e solo per dare spazio alla versione dei fatti data dai famigliari dei suoi assassini. E non si capisce più chi sia il buono e chi il cattivo.
Ci sono le scene delle proteste di piazza, e sembra che sia l’Albania in fiamme contro il narcotraffico e non si dice che invece sono le scene del comizio di un partito che quando è stato al potere il narcotraffico non lo hai combattuto. Anzi. Poi si vola da Tirana alla Colombia, nella terra dei narcos, e poi in Calabria a intervistare un procuratore che non parla però della ‘ndrangheta di cui sa tutto, ma dell’Albania e del governo olandese, e uno si chiede cosa c’entri e cosa ne sappia.
Per finire poi sulle montagne albanesi, a raccontare le storie strazianti del Kanun, l’antico codice consuetudinario che costringe ancora oggi uomini e bambini a vivere nell’isolamento totale per evitare vendette secolari. E’ forse la parte più bella dell’intero reportage, e anche la più vera, ma sebbene toccante resta un tassello fuori posto del mosaico perchè il Kanun col narcotraffico non c’entra assolutamente niente, e la cosa grave è che nel reportage si dimentica di dirlo.
Il risultato è che l’Albania descritta da ‘Narcotica” su Rai Tre è un miscuglio di luoghi comuni e di mezze verità che non è storia, non è reportage, non è cronaca e neppure investigazione. E’ solo quello che si è trovato in pochi giorni messo in bella copia. Il giornalismo italiano che sbarca in Albania è stucchevole perchè da anni mostra sempre le stesse cose: o un paese violento e criminale, oppure un’isola felice dove fare vacanze mangiando il pesce a 4 euro. E nessuno che si preoccupi di capire e raccontare semplicemente la realtà.