Tirana/La giostra nella notte
Notte di autunno a Tirana. Il centro della città tirato a lustro. Grandi lavori in piazza Skanderberg. Diventerà spazio immenso per chi va a piedi. Via le auto di fronte al teatro dell’Opera, al museo Nazionale, alla piccola e bellissima moschea di Et’hem Bey. Il viale conduce fino alla piazza di Madre Teresa (in un paese a maggioranza musulmana, così si chiama una delle piazze principali del paese e l’aeroporto), i palazzi bianchi e razionalisti della vecchia casa del Fascio sono oggi l’Università della capitale.
C’è un grande giostra che gira su sé stessa di fronte a due aquile nere e bifronti che si accendono e spengono.
Si cammina con lentezza nella sera. Verso quelle luci e verso la giostra solitaria.
Tirana/ Una mattina di pioggia
Pessimo giornalista, mi aggiro senza chiedere nulla per il centro di Tirana. Mattina presto, pioggia. Palazzi dei ministeri, immagino. Ecco, non chiedo. Mi piace passeggiare fra queste architetture. Anni ’20, tempi di re Zog (ehi, il suo nipote si è sposato – royal wedding – poco giorni fa, a Tirana: cambiano i tempi, eh!). Non chiedo nemmeno cosa vogliono fare in quel grattacielo (il fatto è che mi piace, è strano, a suo modo geniale) che cambia, per i prossimi secoli (secoli?), il profilo della capitale dell’Albania. Il centro di Tirana ha spazio, bellezza, non intimorisce nonostante la sua vastità. Nemmeno Enver Hoxha, abituato a distruggere, ebbe il coraggio di radere al suolo questi palazzi, risparmiò (per nostra grande fortuna) anche la piccola e bellissima moschea di Et’hem Bey. Penso che questa era (è) il luogo del passeggio serale, il xhiro. Penso alla parate dei comunisti. Penso alla preghiera dei musulmani in piazza Skanderberg. Penso ai ragazzi che bighellonano per i giardini, incerti se dirigersi al Bllok e confondersi con la movida di Tirana.
Pessimo fotografo, mi costringo a mettere qui la foto in bianco e nero di questo incrocio/scontro fra i palazzi del primo ‘900 di Tirana e il cemento armato del grattacielo di questo nuovo secolo. Sono passati cento anni. E’ che mi piace anche il color giallo-pastello e rosso-cotto di questi palazzi. Non riesco nemmeno a raddrizzare la foto, se smuovo il grattacielo, divergono le linee. Se metto in orizzontale le linee, il grattacielo diventa pendente. Mi piace il cielo in tumulto e le linee. E poi era una bella mattina vagabonda a Tirana. Un privilegio.
Tirana/L’uomo della bilancia
Centro di Tirana, il grande viale fra piazza Skanderberg e l’Università, la piazza Madre Teresa. Sulle guide vi è scritto: questo è il Boulevard.
Lampioni a sfidare il buio. Bei parchi. Alle spalle dell’uomo c’è il Dajti, il vecchio albergo del regime in rovina. Anni fa ho mangiato là dentro: c’erano camerieri di altre epoche, si avvertiva la fine nell’aria. Oggi è un palazzo che viene giù a pezzi, ma già ci sono i cartelli che annunciano la resurrezione. Cartelli che parlano di grandi progetti. Agenzie internazionali hanno messo gli occhi su questo rudere immenso.
Dove andrà allora l’uomo con la bilancia? E’ lì, immobile, con il suo cappello e le mani poggiate sulle ginocchia. Ci guarda. Non c’è nessuno a passeggio nella notte.
Lasciamo un euro per pesarci e per una foto. L’uomo sorride, ma poi china il naso fino alla moneta. Per accertarsi se stasera mangerà o per capire se sono centesimi di lek. Ha un sorriso timido. Dove tornerà a dormire stasera?
Comincia ad arrivare il freddo a Tirana. Non passa molta gente da qui. I ragazzi stanno nella movida del Bllok, non certo in questo lungo viale senza caffè, né negozi. Quale è la tua storia? Come torni a casa con la bilancia sottobraccio? Ha un ombrello appeso alla cancellata. Come è la tua casa? Un piccolo letto in una stanza umida, forse attorno al bazar, vecchie coperte militari, forse una piccola stufa elettrica. Se così è, non abiti lontano. Ma potresti vivere anche nei condomini della periferia e allora è un viaggio.
Abbiamo lasciato la macchina in un cortile di calcinacci. Dietro un cancello c’è una casa quasi diroccata. Là vive un uomo- custode-parcheggiatore sedentario. Indossa sempre una tuta e dorme in un edificio malandato, invisibile perché accerchiato da palazzi a cinque piani. Lui vende per due euro a notte il suo cortile per custodire le macchine di chi dorme negli alberghi. Assomiglia all’uomo che sto fotografando sul Boulevard.
La bilancia dell’uomo è truccata. Troppo generosa per il mio peso.
Tirana/Storiella vanitosa sulla Pedonalja
La Pedonale, la Pedonalja. Rruga Murat Toptani. In queste settimane è una meraviglia: l’autunno cambia i suoi colori, si cammina su foglie cadute. Unisce i vecchi quartieri del centro di Tirana ai palazzi dei ministeri attorno a piazza Skanderberg. Mi piace molto camminare per questa strada. Ci sono le mura di un vecchio castello, c’è il museo di arte moderna, c’è la cantina di Noel, luogo che amo, con le foto degli attori e le canzoni di Bob Dylan, prima che prendesse il Nobel. C’è un teatro con su scritto: ‘Experimental’. C’è un cinema. C’è un pizzaiolo che fa panini e panzerotti e parla un italiano imparato in Grecia. E c’era questa ragazza. In qualche modo ha a che fare con un negozio di chincaglierie accanto alla pizzeria. Aspettava che chiudesse, credo. Aveva quaderni aperti, compiti per scuola. Che piccola storia banale. E’ un gioco. A un certo punto lei si mette a disegnare. E io sistemo la macchina fotografica sul tavolo. Lei alza lo sguardo, come se stesse facendo un ritratto. Cerca di non farsi vedere. Io alzo l’obiettivo e la fotografia la faccio. Scatto silenziato. La pizza nel frattempo fila il suo formaggio. Passa così il tempo. In un gioco che forse non lo è. Mi sto inventando tutto? Ma la foto si è davvero scattata. Quando mi alzo, la ragazza chiude, con un gesto affrettato, il suo quaderno e poggia la biro sul tavolo.
Tirana/Ecco dove eravate finiti
No, in realtà sapevo bene dove vi avevano sistemato. Nicola, due anni fa, mi aveva portato alle spalle della Galleria Nazionale. C’era una catena, una guardia indifferente e poi loro. Attorno c’erano i giacigli di barboni. Già, chi voleva più avere a che fare con Lenin e Stalin? Adesso il giardinetto alle loro spalle ospita un paio di gazebo e loro stanno immobili, tirano un sospiro di sollievo, non li hanno presi a martellate. Vladimir ha perso una mano, niente di grave.
Prima stavano all’inizio del glorioso Boulevard. Il comunismo albanese era primitivo, ma nazionalista: la statua di Skanderberg, eroe nazionale (sopravvive a tutto, con ragione e gloria), mi dicono, è sempre stata un po’ più alta dei due comunisti sovietici. Nel dicembre del 1990 fu abbattuto Stalin. Lenin arrivò fino all’estate: Tirana se lo tolse di torno a giugno del 1991.
Strana sensazione, sono passati venticinque anni dal crollo del regime di Ramiz Alia. Trent’anni dalla morte di Enver Hoxha. Tirana sembra avere ancora timore ad affrontare luoghi come la brutta piramide che era mausoleo di zio Enver: sta lì, immensa, malridotta, vetri rotti, in abbandono. Hanno provato a farne un centro per conferenze, è stata discoteca (e fu chiamata naturalmente ‘La Mummia’), ha ospitato una televisione privata (sul retro, deve ospitarla ancora, ci sono sempre furgoncini con antenne davanti). Oggi i ragazzi più audaci si buttano giù a capofitto lungo le sue discese di marmo. Davanti, quasi a mitigarne la violenza architettonica, c’è la campana fusa con i bossoli della guerra civile del 1997 e una piccola statua di Papa Francesco.
Poi c’è il colossale hotel Dajiti, albergo dall’aria sovietica. In realtà fu costruito dagli italiani negli anni ’30. Oggi è un rudere che sembra crollare da un momento all’altro.
E poi ci sono Lenin e Stalin nascosti, ma non troppo, dietro al palazzo del museo. Chissà chi c’è sotto quel telo bianco sotto il braccio di Josif?
Tirana, Le panchine di fronte al lago
Le panchine sono una bella storia. Accadono cose sulle panchine. A chi siede e indovina il mondo, come a chi passa e ha il tempo di guardare chi è seduto.
Non ha un nome il lago di Tirana. ‘Lago artificiale’, tutto qui. Una diga e c’è il lago. A Tirana si va volentieri a passeggio e questo parco, alle spalle dell’Università, è un buon posto dove camminare. Lungo lago. Attimi che sono uguali in tutto il mondo: jogging, scivoli e altalene, un pittore che cerca di vendere acquerelli, uomini soli, coppie che cercano una storia, piccoli venditori di cibo, qualche caffè con sedie all’aperto, un ristorante famoso che non troviamo. Panorama sui nuovi quartieri della città, oltre le sponde del lago. Ci sono le statue di tre fratelli ottocenteschi, i Frashëri, protagonisti del Rinascimento Albanese.
E poi due panchine. Davanti al lago. La donna più anziana, dagli abiti multicolori, è lì da ore. Sono passato più volte di qui e lei non si è mai mossa. Ha mangiato qualcosa da un sacchetto di carta. Ha una borsa di finta pelle e un cappello. Guarda a destra, guarda a sinistra. Poi arriva la ragazza. Un po’ irrequieta. Tuta nera, ma scarpette rosa. Occhiali scuri per la donna e occhiali quasi a specchio per la ragazza. Stanno lì. E io non mi nascondo mentre fotografo
I ragazzi dell’Arka
Ho conosciuto Marjan.
E abbiamo parlato per una mattina. Un caffè, un bicchiere di raki. E la storia del circolo Arka, centro di Shkodra, Scutari, nord dell’Albania. Un barista che fa il videomaker, un danzatore di break-dance che studia l’italiano, Elona che prepara il caffè e scrive poesie. Quattro ragazzi con le chitarre. E poi un ostello dai mille colori. Deve essere la giornata di sole. Entro per caso in questo caffè e non voglio più andare via.
Guardate cosa fa Besmir Sula: https://www.youtube.com/watch?v=qGzzrzEy6JY.
Mi metto a fotografare le pareti. Frasi di Cervantes. Cambiare il mondo. Di Albert Camus, dito puntato contro la ‘società produttiva’. Keep calm and love. Sopra i bagni sta scritto: ‘Ideas can happen in the most unlikely places’.
L’Arka è un circolo cattolico.
Escono ragazzi con gli zaini.
Dopo qualche giorno, mi arriva una poesia di Elona:
‘Rammendi di tempo siamo
a volte noi lo rattoppiamo, a volte esso ci rattoppa
e pesantemente,
come una goccia di rugiada un prologo di luce’
L’Arka la trovate qui: https://www.facebook.com/ARKA-Hostel-567265786745807/