Change Your Shoes è una campagna organizzata da 15 organizzazioni europee e 3 asiatiche e che parte dalla convinzione che «i lavoratori della filiera calzaturiera abbiano diritto ad un salario dignitoso e a condizioni di lavoro sicure e che i consumatori abbiano diritto a prodotti sani e alla trasparenza nella produzione delle loro scarpe».
Dalle anticipazioni del rapporto “Il lavoro sul filo di una stringa”, curato da Public Eye ed ENS e che sarà presentato il 30 novembre all’università di Padova nel corso dell’iniziativa eport sarà presentato e discusso all’evento “Il lavoro appeso a un filo – I diritti dei lavoratori nell’Est Europa”, emerge che «Nel 2014 nel mondo sono state prodotte 24 miliardi di paia di scarpe. Benché la maggior parte provenga dall’Asia, il 23% delle scarpe di pelle, più costose, viene prodotto in paesi europei, fra i quali spicca l’Italia. È inoltre in Italia che avviene il processo di conciatura del 60% di tutto il cuoio prodotto nell’Unione Europea.
Questo compito gravoso viene spesso affidato ai lavoratori immigrati, un fenomeno ben visibile nelle concerie intorno a Santa Croce, in Toscana, come racconta Una dura storia di cuoio, un’indagine che descrive la realtà di queste migliaia di lavoratori che quotidianamente maneggiano carichi pesanti e sostanze chimiche senza protezioni adeguate».
Ma il “made in Italy” o il “made in Europe” ha anche un altro aspetto non meno oscuro, fatto di puro sfruttamento: «Non di rado le fasi più onerose della produzione vengono esternalizzate in paesi dell’Est Europa – spiegano quelli di Abiti puliti/Clean clothes campaign – consentendo così alle marche italiane e tedesche di trarre profitto dalla manodopera a basso costo e dai tempi di produzione più brevi».
Con il “Il lavoro sul filo di una stringa” la campagna Change Your Shoes è entrata nelle fabbriche di 6 Paesi dell’Europa dell’Est per raccontarne le difficili condizioni di lavoro: «In Albania, Macedonia e Romania il salario minimo si situa fra i 140 e i 156 euro mensili, cifre inferiori a quelle previste in Cina. Per poter mantenere le proprie famiglie le operaie dovrebbero guadagnare da quattro a cinque volte tanto.
Venendo pagate a cottimo, spesso le lavoratrici preferiscono poi rinunciare ai guanti o ad altro materiale di protezione contro le colle e le sostanze chimiche che devono maneggiare, così da poter lavorare più rapidamente. Similmente all’industria tessile, il settore calzaturiero è affetto da problemi strutturali che non si fermano di fronte alle frontiere europee».
Abiti puliti/Clean clothes campaign conclude: «La nostra indagine mostra anche che marche e distributori non si interessano abbastanza alle condizioni di lavoro nelle fabbriche in cui le scarpe vengono prodotte. Dalle interviste svolte e dai siti web delle aziende risulta che la produzione è realizzata interamente per conto di noti marchi e catene distributive che operano sui mercati dell’Unione Europea, fra questi Zara, Lowa, Deichmann, Ara, Geox, Bata, Leder & Schuh AG, Ecco.
A tutti i marchi e distributori coinvolti chiediamo di assumersi le proprie responsabilità e di mettere in atto le misure necessarie affinché il rispetto dei diritti umani sia garantito nella totalità della loro catena di produzione. Soprattutto, che si impegnino perché agli operai ed alle operaie venga versato un salario dignitoso».