Di Sonila Alushi
Triste scoprirlo, ma è così: noi abbiamo bisogno di Ermal Meta. Sì, non lo abbiamo sostenuto solo perché un bravissimo cantautore con una meravigliosa canzone in gara; una canzone piena di speranza interpretata in modo emozionante.
Lo abbiamo sostenuto anche perché a portarla nella gara più importante della canzone italiana, è stato (anche) lui, un ex immigrato di origine albanese! Triste scoprirlo, ma è così. E no, non è stato per un banale nazionalismo da partita di calcio.
Con lui, come con molti artisti prima di lui, abbiamo voluto dire a questo Paese che noi non siamo solo un problema da gestire; noi non siamo solo delinquenza o solo braccia da lavoro come la maggior parte di politica e media racconta.
Noi siamo anche fonte di talento, arte, bellezza, musica, speranza, emozione. E per dimostrarlo abbiamo ancora bisogno di volti come il suo. Volti puliti, senza i segni del sole cocente sulla pelle; senza il rancore dell’essere meno fortunati degli altri; senza la paura del pregiudizio.
Volti non spaventati e che non spaventano. Volti di genio e successo. Volti che rappresentano quella tanto discussa integrazione, quell’essere felicemente ibridi. In realtà, se lo si osserva bene, volti come il suo, non appartengono più ad un paese o ad un etnia in particolare.
Volti come il suo appartengono al mondo intero. Ma noi abbiamo bisogno che ci appartenga un po’ di più, almeno ancora per un po’.
Lo so, è triste scoprirlo, ma è così.