Nella Giornata Internazionale della Lingua Madre, una riflessione sull’approccio quotidiano della lingua madre e l’emigrazione – nel nostro caso, come albanesi d’Italia – la lingua albanese, e l’italiano, la lingua del paese in cui viviamo.
Di Adela Kolea
Partendo dal presupposto che noi albanesi abbiamo una buona predisposizione per le lingue straniere, forse questo ci è stato iniettato come un modo per trasgredire le regole ferree di censura che ci impedivano addirittura di seguire le Tv straniere, di leggere dei libri in lingua straniera, di seguire tutti i media e i mezzi di comunicazione stranieri, di lasciare il nostro paese, potremmo affermare che, con il fenomeno dell’emigrazione, inizio anni ’90, noi albanesi – come chiunque altro lasci per svariati motivi la propria terra natia – abbiamo potuto dare sfogo appunto, non solo alla tanto desiderata voglia di libertà, lasciando quei confini che ci tenevano soffocati dentro il paese e senza permetterci di esplorare il mondo che ci circondava, ma anche alla corsa per imparare ed approfondire nuove lingue straniere, dettato un po’ dalla necessità di comunicare in primis con la gente del posto che ci accoglieva e per affrontare le molteplici sfide giornaliere, come comunicare nella vita quotidiana, per lavoro, per lo studio.
Poi, una volta superato questo passaggio, cioè quello del primo approccio con la nuova lingua del paese ospitante – la predisposizione sopraccitata degli albanesi per le lingue straniere, non è stata sufficiente per tutti gli immigrati che sono arrivati in Italia, tenendo conto delle loro difficoltà linguistiche nella loro lingua madre, collegato a fattori come livello di istruzione, provenienza (per molti) da varie zone isolate d’Albania, età, ecc.
Un altro problema che devono affrontare i bambini albanesi nati all’estero è: Quale lingua devono parlare i genitori in famiglia? Nel caso nostro, albanesi d’Italia, sarebbe stato giusto continuare a parlare ai bambini la lingua madre, l’albanese? Oppure, verso l’età di tre anni, età in cui i bambini si preparano a frequentare la scuola materna, non è che, parlando loro albanese in casa, a scuola questi bambini avrebbero fatto fatica con l’italiano e di conseguenza, il loro inserimento a scuola ed in società sarebbe stato difficoltoso?
Queste sono state delle domande vere ed obiettive che si sono poste molte giovani coppie di genitori albanesi sulla questione in merito alla lingua, domande, le quali hanno avuto due tipi di riscontri da parte degli insegnanti dell’infanzia.
Ci sono stati insegnanti che hanno detto loro: “Ma come, non parlate italiano in casa? Ma insomma, ai bambini dovreste parlare italiano in famiglia, altrimenti il loro inserimento alla scuola materna sarà faticoso…”
E altri insegnanti ancora: “Ai bambini fate bene a parlare in albanese a casa, nella vostra lingua madre, in quanto loro hanno questa capacità di distinguere le due lingue e anzi, con una buona base di albanese, partono più sicuri e avvantaggiati nell’imparare l’italiano e diventano più bravi nel bilinguismo poi. Anzi, sono molto ben disposti anche allo studio di altre lingue straniere in seguito”.
Qui subentrava un altro meccanismo ancora: “Se un genitore albanese – io porto l’esempio “albanese”, perché ci appartiene, ma naturalmente questo ragionamento vale per tutti gli stranieri – non parla lui stesso perfettamente italiano, è giusto che in casa lui parli in questo modo storpiato al proprio figlio, con un italiano che, per l’appunto lascia molto a desiderare?” Io penso che questo non sia affatto corretto.
Insomma, è un ragionamento analogo a quello che ho nominato poc’anzi, che viene fatto ad esempio nel Nord Italia – come mi riferiscono dei conoscenti meridionali che vivono qui in Emilia Romagna. – Cioè, gli insegnanti invitano i genitori meridionali a non parlare nel loro dialetto o lingua vernacolare in casa, poiché i ragazzi fanno fatica a scuola con la lingua standard. Questa fatica da parte di questi ragazzi viene accentuata soprattutto a fine estate, al rientro dalle vacanze dalle loro città di provenienza.
Insomma, questi si rivelano come problemi linguistici e di comunicazione del quotidiano per tutti coloro che non sono autoctoni. I bambini crescendo poi, sono sempre più proiettati a imparare la lingua del posto, nel nostro caso l’italiano. Non in tutte le famiglie albanesi viene preservato l’albanese per le nuove future generazioni. Poi, nel caso dei matrimoni misti, italo-albanesi, preservare l’albanese per i bambini, risulta ancora più difficile.
Diventa poi anche una questione di scelte e priorità, a quale delle lingue dare maggiore importanza. Per i ragazzi albanesi di seconda generazione, l’albanese sta scomparendo man mano che praticano sempre ed unicamente l’italiano nelle scuole e nella loro quotidianità, e in più studiano inglese, francese, tedesco e spagnolo sempre nelle scuole.
Dipende poi a lungo andare, anche dalle scelte delle famiglie se passare o meno le vacanze estive in Albania, essendo quello un buon modo per praticare l’albanese e non solo: per rinnovare il ricordo delle tradizioni e degli usi nazionali.
Da “poliglotti”, un po’ per passione – anche perché questa è una dote individuale alla fine – e d’altro canto un po’ per necessità, l’emigrante si ritrova a far fronte ad un altro fenomeno: a quello, non più della lingua standard del nuovo paese ospitante, ma anche ad affrontare il dialetto della città o del paesino in cui si sono collocati e risiedono. Oltre al dialetto, appunto, agli idioletti, a svariati idiomi, ad un’ampia fraseologia e modi di dire del paesino.
Ad esempio, a me sono capitate all’inizio della mia sistemazione qui in Emilia-Romagna, – nonostante l’italiano standard facesse parte di me, in quanto l’ho parlato da bambina, nata e cresciuta a Tirana, in una famiglia bilingue italo-albanese – varie situazioni divertenti, addirittura grottesche, collegate al gergo dialettale e provinciale.
Quando una signora anziana parmigiana, vicina di casa, mi disse: “Ora ti lascio, perché vado a raccogliere i gatti!” Io, facendo la traduzione letterale del detto in italiano, le risposi: “Va a raccogliere i gatti? Questo è un bel gesto da parte sua!”, avevo capito che la signora stesse andando a raccogliere i gatti di strada per offrir loro un tetto. Ma lei aggiunse: “Ma no, con ‘raccogliere i gatti’, noi emiliani intendiamo semplicemente: “Raccolgo la polvere in casa, quindi faccio le pulizie di casa…”
E come questo, ci sono naturalmente infiniti modi di dire.
Nella Giornata Internazionale della Lingua Madre, non posso non riportare un’altra mia preoccupazione attuale: quella collegata oggi al modo incurante di parlare e scrivere l’albanese dentro i confini dell’Albania.
Noto con rammarico che l’albanese – soprattutto con l’avvento della diffusione dei portali online e dei vari spazi sociali di comunicazione – viene scritto spesso male, in modo non corretto, con errori ortografici o pieno di prestiti da altre lingue straniere.
Il discorso dei prestiti di forme ancestrali da arabo, turco e italiano nell’albanese è una questione a parte, in quanto questa fetta determinante di terminologia è inserita e ben assorbita dall’albanese, – ogni lingua ha bisogno di prestiti alla fine – negli anni, essa fa parte del dizionario albanese, ma ci sono molteplici forme di prestiti dall’inglese ed abbreviazioni, storpiature linguistiche che hanno ottenuto lo spazio che non li appartiene nella lingua albanese, danneggiandola.
In questo, un ruolo determinante ed una responsabilità notevole spetta alle istituzioni specifiche e ai media che, con il loro modo di scrivere e comunicare, influenzano tutta la popolazione che li segue.
“La lingua è un’impronta, l’impronta maggiore della nostra condizione umana” scriveva Octavio Paz.
Facciamo sì che ognuno di noi, nel nostro piccolo, si prenda cura di questa impronta, che partirebbe come prettamente “linguistica”, ma che si estenderebbe ad un ampio livello sociale e culturale anzi, multilinguistico e multiculturale.
*Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Shqiptari i Italisë