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Cesare Cremonini, gaffe in tv sulla colf: è bufera sui social. E una mia riflessione albanese…

Di Adela Kolea

Cesare Cremonini, Il cantante, ha confessato di aver cambiato il nome alla donna delle pulizie moldava perché la paga. (Tgcom24)

Una frase di Cesare Cremonini ha scatenato la bufera sui social.

Il cantautore, ospite di Alessandro Cattelan nella trasmissione tv “E poi c’è Cattelan” ha raccontato un episodio che riguarda la sua donna delle pulizie:

“Ho una donna delle pulizie che si chiama Emilia – ha detto Cesare Cremonini – Non è vero, non si chiama Emilia, nome che vorrei dare a mia figlia.

Lei è moldava e io ho preteso in onore della mia terra di chiamarla Emilia. Non so qual è il nome ma ognuno dovrebbe chiamare le persone come meglio crede, soprattutto le persone che entrano in casa tua. Sono pagate e quindi possono far cambiare il loro nome”.

La frase non è passata inosservata e su Twitter la marea di commenti contro il cantante ha reso la clip dell’intervista virale, tanto da spedire l’hashtag #Cremonini primo fra i trend.

➡Ecco, lo sapevo. Allego una mia riflessione in merito. Risale a poco tempo fa.

📌”Lei è l’Albanese, lei è l’Americana, lei è la Croata, lui è l’Italiano, l’altro è il Francese, poi c’è il meridionale, il milanese o il pugliese, ecc…”

Da dove nasce questa nostra abitudine di chiamare il prossimo con la sua provenienza?

Siamo sicuri che tra tutte le persone che conosciamo, chiamiamo proprio tutti per nome?

Sorvoliamo per un attimo dai nomignoli affettivi di ambito confidenziale o familiare.

Proviamo a trovare il tempo ed il modo a chiamare le persone con il proprio nome e non con soprannomi o nomignoli vari, che attingono alle loro origini o luoghi di nascita – con tutto il rispetto per queste ultime – in ogni contesto e relazione sociale?

Proviamo a creare la giusta correlazione tra l’essere personale e l’essere sociale di una persona?

Il nome individualizza e personalizza.
Il nome indica l’identità della persona.


Perché, è noto ovunque questo fatto, bisogna pur ammettere:

A Tirana dicevamo: quello che viene da Dibra, quella che viene da Scutari, quella che viene dal Kosova, da Korça, Përmeti e così via, da capitale che racchiude in modo eterogeneo svariate origini di abitanti, si creano questi luoghi comuni ed abitudini di omettere il nome proprio della persona in cambio di quello del luogo di nascita.

Poi c’erano le donne straniere di Tirana.

E mi è venuto in mente il luogo comune che anche la mia nonna italiana, essendo giunta in Albania all’età di 18 anni, ha cambiato vita sempre a Tirana a 82 anni, sia sempre stata chiamata dagli albanesi: “L’italiana”.

Invece, quando ha rivisto le sue sorelle a democrazia inoltrata in Albania ergo, potendo finalmente recarsi nella sua terra, in Italia, le sorelle hanno detto commosse:

“Arrivata finalmente! Ecco la nostra sorella “albanese”!…”

Oggi, gli emigranti stessi vengono definiti “stranieri” in terra propria, quando si recano in vacanza nel paese natio e, “stranieri” sono quasi sempre considerati nel paese all’estero, in cui da una vita risiedono.

Nel 1992, noi eravamo appena arrivati a Bari.
Mia madre aveva sentito dire, che tra le donne del vicinato, una in particolare era la più brava a fare i dolci.

Le donne baresi vicine di casa, dicevano:

“I dolci, come li fa ‘La Croata”, non li fa nessuna di noi!”

Ecco, quella signora, di nome Maria, veniva soprannominata “la croata”, per la sua origine.

Sebbene vivesse a Bari da una vita, da quando aveva avuto 18 anni ed avesse sposato un barese, lei era stata chiamata “la Croata”, sempre.

Ah però!- mi ero detta. Pure qua a Bari, stessa ‘pratica onomastica’.

Di certo, non per cattiveria o distinzione, ma perché ho percepito che tale meccanismo, quello inerente alla mancata amalgamazione completa con la gente del posto – anche con la più buona parte della gente autoctona che possa esistere, come la bontà d’animo della gente del Sud Italia ad esempio – purtroppo persiste, volente o nolente.

Alla fine, finché nessuno questo lo fa di proposito e per estraniare od emarginare quelli non autoctoni, questo risulta un tassello spontaneo ed in buona fede delle interazioni tra la gente di origine diversa, che condividono gli stessi spazi per vivere: stesso paesino, quartiere, condominio ecc.

Forse si fa solo per pigrizia la riduzione in questo modo del nominativo di una persona.
Per cui, si sa che le connotazioni spregiative che si accostano a questi soprannomi si notano, fanno contrasto.

“Il nome di un uomo non è come un mantello che gli sta penzolante e che gli si può strappare o cacciare di dosso, ma una veste perfettamente adatta, o come la pelle concresciutagli che non si può graffiare senza far male anche a lui.”
(Goethe)

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