– Ungheria-Cina: Secondo un giornale filo-governativo, nel 2024 l’università cinese Fudan aprirà un campus nella capitale ungherese.
Perché conta: Dopo il recente acquisto del vaccino prodotto dalla cinese Sinopharm, già commentato dalla nostra rubrica, Budapest esibisce subito un’altra potente conferma del proprio flirt con Pechino. Nessun altro paese UE è finora parso così disposto a prestarsi alla campagna ideologico-mediatica del Dragone più dell’Ungheria. L’esecutivo guidato da Viktor Orbán non si è limitato a confezionare accordi commerciali, ma si è lasciato coinvolgere entusiasticamente dal dispiegamento del soft power cinese. Il paese mitteleuropeo ospita già sul proprio territorio cinque centri culturali Confucio, istituzioni da tempo accusate di compiere attività di spionaggio, e il più esteso centro logistico di Huawei fuori dal territorio cinese. La ferrovia Belgrado-Budapest, una delle infrastrutture più strategiche per l’Ungheria, sta venendo costruita da operatori cinesi, con manodopera e soldi cinesi. Tutti indizi che comprovano la volontà ungherese di riposizionare la propria politica estera verso Est, perseguendo i propri interessi nazionali senza farsi frenare delle appartenenze (Nato e Ue).
Per approfondire: Asse Budapest-Pechino. Quanto è forte l’influenza della Cina in Ungheria [Linkiesta]
Cechia-Russia: Per bocca del ministro degli Esteri Tomáš Petříček, Praga ha proposto di imporre sanzioni alla Russia per l’arresto dell’oppositore Aleksej Naval’nyj appena rientrato in patria dopo aver passato mesi in Germania per riprendersi dal tentato avvelenamento subito la scorsa estate.
Perché conta: L’annuncio acquisisce pieno senso nel contesto di una strategia di ampio respiro che la Cechia sta perseguendo da mesi: accreditarsi come punto di riferimento per gli Usa in Europa centrale, dopo qualche anno di tentennamenti e ammiccamenti a Cina e Russia. Come già osservato in questa sede, Praga ha già fornito molti segnali in questa direzione, come l’inserimento della branca politica di Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche o le critiche rivolte a Donald Trump dal presidente Miloš Zeman, visto come l’interlocutore prediletto di Mosca e Pechino in Cechia.
È un riposizionamento che non capita in un momento casuale. Tra i paesi del gruppo Visegrád, la Cechia sembra essere quello meglio posizionato per meritarsi l’amicizia dei nuovi Usa targati Biden. Come scritto sopra, in ottica americana l’Ungheria è ormai considerabile un cavallo di Troia al servizio del nemico numero uno degli Usa. La Polonia, la cui russofobia non è eguagliata da nessuno nella regione, rimane un alleato fedelissimo, ma il presidente democratico pare poco propenso a chiudere gli occhi sulla deriva autocratica in atto del paese, sicché si prefigura una relazione molto più turbolenta tra Washington e Varsavia rispetto a quella osservata durante la precedente amministrazione.
La Slovacchia resta, infine, uno Stato profondamente antiamericano e cripto-eurasiatico, molto più affine alla Germania, o alla Russia, che agli Usa. Un quadro favorevole a Praga, soggetto tradizionalmente pragmatico e molto meno ideologico di Budapest e Varsavia. Insistere per fare la voce grossa con Mosca è un modo semplice per guadagnarsi la simpatia del partner transatlantico. Anche perché, nel contesto attuale, criticare la Russia equivale anche a mettere alle strette la Germania – altro gradito piacere agli Usa. Le pressioni su Berlino per abbandonare il progetto Nord Stream II, il gasdotto baltico ormai in fase di completamento che pomperà gas russo direttamente in terra tedesca, aggirando i paesi dell’Europa di mezzo, si sono intensificate dopo l’attentato a Naval’nyj. Per dare un’idea della temperatura, i polacchi chiamano questa infrastruttura “gasdotto Molotov-Ribbentrop”, equiparandola all’infausto patto tra Terzo Reich e Urss (1939) che per la Polonia significò l’inizio della fine. Gli Usa alimentano volentieri questi malumori per bacchettare la Germania, alleato sempre molto tiepido ed “egemone riluttante” nell’arena Ue. Fiutando il vento con il consueto aplomb, la Cechia si è accodata alle reprimende.
Per approfondire: Russia-Cina oppure Occidente? La Cechia e l’arte della dissimulazione [Limes]
Balcani Occidentali
Montenegro-Serbia: Il parlamento ha passato la revisione della controversa legge sulle proprietà religiose per la seconda volta, dopo che il presidente Milo Đukanović aveva rigettato quella votata la prima volta accampando vizi procedurali. Đukanović sarà ora costretto a firmarla.
Perché conta: Si tratta di una novità ampiamente attesa, essendo stato il cavallo di battaglia che ha permesso alle opposizioni di sbaragliare per la prima volta in trent’anni gli uomini di Đukanović alle elezioni dello scorso agosto. La adozione di questo provvedimento a fine 2019, che di fatto avrebbe sottratto al clero ortodosso tutti i possedimenti (immobili e terreni) di cui non sarebbe stato possibile dimostrare la proprietà prima del 1918 (anno dell’adesione/annessione del Montenegro alla Serbia), aveva scatenato imponenti proteste di piazza da parte del segmento filo-ortodosso e filoserbo della società montenegrina. A testimonianza di quanto questa norma si intrecci con delicate questioni identitarie, la sua revisione è passata per il rotto della cuffia: l’hanno approvata soltanto dai 41 parlamentari (su 81) che sostengono l’attuale esecutivo. Sul piano geopolitico, questo voto ribadisce la caratura filoserba del nuovo governo. Il cui margine d’azione resta però estremamente limitato, sia perché tra i partiti che lo sostengono figurano anche forze non filoserbe (anzi europeiste), sia perché l’appartenenza alla Nato del Montenegro è un giogo che non può essere reciso con un semplice avvicendamento al vertice. Come suggerito nella scorsa edizione di questa rubrica, l’esecutivo guidato da Zdravko Krivokapić può esprimere le proprie simpatie filoserbe solo tramite alcune iniziative simboliche, prive di reali conseguenze. Il riavvicinamento a Belgrado sembra un obiettivo chimerico, dopo che negli ultimi quindici anni Đukanović e il suo entourage hanno sfruttato ogni occasione per smarcarsi dagli amici di un tempo (serbi e russi) e rifarsi il trucco proiettandosi come fortino atlantista in ex Jugoslavia.
Per approfondire: Le ragioni del cuore e quelle della Realpolitik nel nuovo Montenegro [Limes]
Albania-Italia: Nel 2020 l’export albanese è crollato del 9%.
Perchè conta: Il dato in sé potrebbe suonare banale: nell’anno del coronavirus tutte le economie (tranne quella cinese) hanno subito contraccolpi devastanti, specialmente quelle meno modernizzate, tra cui si annovera anche il Paese delle aquile. Spiegare questo dato è però utile per rievocare una realtà che spesso il pubblico italiano ignora. Sul piano commerciale, l’Albania è una colonia italiana. Una delle cause principali per il tracollo delle esportazioni albanesi è stata infatti la sequela di lockdown (e semi-lockdown e restrizioni) imposti in Italia per contenere il contagio, che ha fatto crollare i consumi degli italiani, generando una ricaduta micidiale sul tessuto produttivo albanese. Il nostro paese attrae più del 48% dell’export dell’Albania e produce oltre il 30% delle sue importazioni.
A questa dipendenza economica, si aggiungono altri fattori – tra cui una diaspora albanese in Italia di oltre 440 mila individui senza contare i naturalizzati, una visione generalmente positiva dell’occupazione italiana presso la popolazione albanese e l’alta diffusione dell’italiano tra gli albanesi – che farebbero dell’Italia una sorta di ammirato fratellastro del proprio dirimpettaio adriatico. Eppure, nonostante Tirana sia così strettamente interconnessa con il sistema paese italiano, Roma stenta a tramutare questo potenziale in soft power, risultando un partner poco strategico nel percorso di integrazione in Ue che l’Albania ha ufficialmente inaugurato da poco meno di un anno.
L’introversione abulica del nostro paese, troppo tormentato e infragilito dalla politica interna per estroflettersi compiutamente almeno nel proprio immediato vicinato, continua a incarnare uno dei limiti strutturali meno affrontati della politica estera italiana. I Balcani occidentali se ne dolgono, trovando più conveniente abboccarsi con soci magari meno simpatici degli italiani, ma probabilmente più attenti e attrezzati per corrispondere ai loro bisogni.
Per approfondire: Tra Italia e Turchia l’Albania sceglie l’America [Limes]