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Quando Rebecca osserva il mare di Pierfranco Bruni. La delicatezza di un viaggio tra gli occhi dei bimbi

di Admira Brahja

Il viaggio dello scrittore ha dei toni teneri e dolci da nonno e nostalgici da padre che guarda sua figlia e suo figlio negli occhi, ma dall’altra parte apre le frontiere di un intero mediterraneo, dove i sogni diventano profezie e le profezie diventano verità e restano vissuto. Questi versi in “Rebecca osserva il mare”, per i tipi Edit@, dà danno voce al silenzio, il silenzio dei bambini.

In ognuno di noi c’è il fanciullo che con i suoi ricordi ha qualcosa da testimoniare e “Se i bambini/cullano silenzi/Non facciamo regali /Diamo testimonianze […]”.

È Importante ciò che testimoniamo e che trasmettiamo ai bambini, perché loro saranno l’indomani. Questo libro è già una testimonianza, perché tramite questi versi siamo chiamati tutti in prima persona a riflettere e prendersi le nostre responsabilità e interrogarsi: Cosa stiamo lasciando a questi bambini? La risposta a questa domanda si trova in questi versi, dove ci sono delle infanzie negate… I bambini che giocavano a inventarsi adulti… dove c’è l’invito di prenderci per mano come i bambini e ricostruire un futuro insieme in un girotondo che diventa il senso di questo viaggio, la circolarità e la grecità raccontata da Pierfranco Bruni nella spensieratezza di un girotondo che ospita tanti porti e tanti volti. L’Italia ne diventa “L’Itaca”.

Si apre così un ampio scenario, storie vissute che abitavano il mare, volti di aquile, bambini albanesi senza una voce e un nome alla ricerca di sogni e speranze. Si aprono vecchie piaghe di famiglie albanesi che hanno raggiunto l’Italia in barconi, ma tante hanno scritto il loro destino nelle onde senza nemmeno una preghiera. “Le parole delle aquile/ restano tra le onde / nel mare d’altura/con le agonie […]”.

Il tragico abbraccia le sponde dell’Italia e grida alla speranza, al futuro.


Da una parte bambini che si rincorrono davanti ai cancelli e dall’altra “sguardi smarriti/ che scendono /dai barconi”. Bambini in viaggio e memorie da bambino abitano gli immaginari della poesia di Pierfranco Bruni; poesia che si scrive “nelle linee del mare”; nelle storie che si ripetono e nelle profezie che si compiono.


La poesia di Pierfranco Bruni accoglie le culture in un girotondo, nell’innocenza dell’infanzia, ma in esso proietta anche il futuro. In questi sguardi innocenti si leggono le culture dei vari popoli in viaggio che si mescolano e formano la cultura dell’indomani. È in queste contaminazioni di sguardi che si legge il destino di un intero Mediterraneo e oltre. Questi versi sono un invito ad accogliere gli sguardi che saranno il futuro, le profezie che si compiranno, il viaggio che da sempre caratterizza l’umanità e tutta la produzione letteraria di Bruni.


Il ritmo che caratterizza il verso richiama a Rodari e anche a Piumini, ma va ben oltre nella ninna nanna dei sogni e speranze future di interi popoli. La barca, il mare, i porti sono le metafore che arricchiscono il viaggio di Bruni in una poesia che canta in libertà, sotto le note dell’Oriente e dell’Occidente, dove le memorie dell’infanzia dello scrittore scavalcano “i muri del suo giardino con la palma” e si uniscono a questo scenario in una profonda riflessione.


Passato e presente si fondano per proiettarsi in identità future, in Alessandro, nel tempo che scorre, nelle attese, nei silenzi… con la lacerazione del ricordo. Ma “tutto ha un senso/In questo precipitato della Storia/ che violenta la vita? […]”.

Nel tragico si proietta “un incontro nuovo” che si riconcilia con il passato in un grido alla fede, a Cristo per quei bimbi in viaggio “che hanno smarrito il porto di ritorno”.


L’attesa ha dei toni di speranza. La figura della madre che attende il figlio è una forte presenza nella memoria dei popoli e nella storia dell’intera umanità, ma Bruni fa rivivere questo immaginario collettivo nel silenzio delle madri orientali chiuse nei loro scialli. Un precipitare nella Storia, nel ricordo che si avvolge in uno scialle, simbolo di dolore e di sofferenza. La poesia di Bruni denuncia la violenza alla vita e da identità a chi l’ha persa: a Irina, a Paulo, Ismail e a Manuelito; a queste realtà che sono sotto i nostri occhi, nella nostra indifferenza ed è proprio la nostra indifferenza che violenta la vita.


I ricordi e la memoria che avvolgono “Sul davanzale delle parole” si fondano in una dolce ed innocente nostalgia proiettata nel passato di una famiglia alla ricerca delle proprie radici ,ma “I bambini non dimenticano […] hanno incavi di secoli, […] Gli echi di una strada…” che proviene dall’est o dall’oriente, bambini che hanno perso le radici e si sono lanciati in amare realtà. La poesia di Bruni cerca di recuperare queste piccole identità tramite i propri ricordi ed inserirle in una nuova identità europea che non può rimanere indifferente agli sguardi che testimoniano pezzi di vita senza il recupero dei quali non c’è futuro.

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