Di Andrea Walton
Il passaporto della nazione balcanica è uno di quelli che offre minori possibilità in tutto il mondo, paragonabile a quello dell’Afghanistan o dello Yemen. Pristina guarda soprattutto a occidente ma la sua integrazione è ancora molto distante
La Commissione e il Parlamento Europeo hanno dato luce verde nel 2018, ma ancora non basta a garantire ai cittadini kosovari la possibilità di viaggiare nell’Unione europea senza visto. Si tratta di un caso unico nel Vecchio Continente – con l’eccezione di Bielorussia e Russia – che sta generando frustrazione e risentimento nella piccola nazione balcanica.
Il fatto che cinque nazioni dell’Unione non abbiano mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, proclamata nel 2008 dopo la secessione dalla Serbia, non aiuta, così come non aiutano i timori su una possibile emigrazione di massa in caso di esenzione dal visto.
Il presidente Vjosa Osmani ha ricordato, come riportato dall’Independent, che i suoi concittadini «sono prigionieri nel cuore del continente in cui vivono». Secondo Aulona Kadriu, intervistata dall’Afp, «è una contraddizione essere chiamati europei quando non si può viaggiare attraverso l’Europa» e non è chiaro il perché «un’intera popolazione debba essere chiusa fuori».
L’Henley Index, che esamina le possibilità di viaggio offerte dal possesso di un determinato passaporto, ha evidenziato che il Kosovo ricopre uno degli ultimi posti al mondo in compagnia di nazioni come Afghanistan e Yemen. Ottenere un permesso di viaggio è complesso, talvolta impossibile.
L’ambasciata tedesca di Pristina ha reso noto di aver ricevuto più di 100mila richieste tra dicembre e gennaio quando può accettarne non più di 5500 l’anno. In altri casi possono volerci centinaia di euro solamente per ottenere un posto in fila fuori dal consolato.
Lavdi Zymberi, autrice di Kosovo Girl Travel, ha ricordato che il Ministero degli Esteri ha la cattiva abitudine di non rafforzare le relazioni con quei Paesi che hanno riconosciuto il Kosovo e che questo tipo di comportamento può dar vita a situazioni paradossali e spiacevoli per i kosovari che viaggiano all’estero. In altri casi, invece, le informazioni fornite dal ministero degli Esteri per l’ottenimento dei visti si sono rivelate imprecise oppure del tutto sbagliate.
L’aspirazione europea di Pristina, come scritto dall’Ambasciatore d’Italia in Kosovo Nicola Orlando sul sito del Centro Studi di Politica Internazionale, è fuori discussione ma l’inclusione nel club non potrà avvenire a qualunque prezzo. Pristina non è disposta a rimettere in discussione la propria sovranità oppure ad accettare rinunce territoriali.
Il mantenimento di una prospettiva europea, secondo Orlando, è vitale se si vuole impedire una deriva orientale e per spegnere fermenti di instabilità. Lo sguardo del Kosovo, al momento, è rivolto ad occidente e resiste alla competizione per la sfera d’influenza dei Balcani Occidentali portata avanti da Turchia, Russia e Cina. D’altra parte buona parte dell’assistenza internazionale (il 70% nel 2019) è venuta dall’Unione Europea, che ha anche fornito il grosso delle forze internazionali stanziate in loco sotto la Nato.
Il Kosovo è considerato una nazione parzialmente libera dall’organizzazione internazionale Freedom House, che si occupa di monitorare il rispetto dei diritti civili e politici nel mondo. Le elezioni sono credibili e ben amministrate, ma le istituzioni statali sono deboli e la corruzione ha facilitato lo sviluppo di una profonda sfiducia nei confronti del governo.
Lo Stato di diritto è inibito dall’interferenza mostrata dal potere esecutivo nei confronti di quello giudiziario ed i giornalisti corrono il serio rischio di subire attacchi fisici a causa del contenuto dei loro articoli.
Alla guida del Paese c’è Albin Kurti, nominato premier dopo il successo ottenuto dal suo partito Vetëvendosje, nazionalista di sinistra, alle elezioni legislative del 2021. L’implementazione di un programma riformista da parte è stata però complicata dall’instabilità e dalle disfunzioni del sistema politico.
Il Kosovo non è riconosciuto dalla Serbia come uno Stato indipendente nonostante l’Unione Europea abbia guidato i colloqui tra le parti sin dal 2011 per normalizzare le relazioni. Sono stati stipulati, nel corso del tempo, diversi accordi che, però, hanno un contenuto vago e che non sono stati messi in pratica dopo l’emersione di problematiche. Tra queste c’è stato l’omicidio, avvenuto nel 2018 nel Kosovo settentrionale, del politico serbo Oliver Ivanović.
Questo evento ha allontanato una normalizzazione delle relazioni ed ha spinto il Presidente serbo Aleksandar Vucic, come riportato da Euronews, a definire l’omicidio un atto di terrorismo. Ci sono stati, poi, forti dissapori dopo l’imposizione di dazi doganali sui prodotti serbi da parte del Kosovo ed altri episodi problematici.
La questione dei Balcani occidentali, come chiarito dall’Osservatorio sul Mediterraneo, è un tema importante ma carico di insidie per l’Unione europea. L’allargamento in questa regione rappresenterebbe un avanzamento della cornice di integrazione ma continua a dominare un’incertezza che impedisce di chiudere in maniera efficace il sanguinoso (e doloroso) periodo della dissoluzione della Jugoslavia./Linkiesta.it