Home Approccio Italo Albanese MARIA TERESA LIUZZO, NON DIRMI CHE HO AMATO IL VENTO

MARIA TERESA LIUZZO, NON DIRMI CHE HO AMATO IL VENTO

INTRODUZIONE DI MAURO DECASTELLI – A.G.A.R. EDITRICE REGGIO CALABRIA – ITALY Associazione Lirico Drammatica Arte e Cultura “P. Benintende”.

“Chi era Raf? Un Angelo o un Dèmone? O entrambe le cose? Nel Tribunale della Coscienza, fece ingresso, come imputato, l’Amore di Mary che, dentro la gabbia del suo sangue, scontava l’ergastolo” (Cfr, p. 181). E’, forse, proprio questo uno dei passaggi fondamentali del romanzo di Maria Teresa Liuzzo, del secondo romanzo della sua trilogia.

L’amore è un mistero, si dice spesso, una condizione intima dell’essere che riguarda, pertanto, la psiche umana, oltre che il cuore, e chiama in campo un’opera di ripiegamento e di ricerca che sia capace di scandagliarne le ancestrali componenti. Ed io ritengo che sia proprio l’amore, nelle sue valenze e nelle sue carenze, ad assurgere a protagonista di queste pagine di Maria Teresa Liuzzo, pagine che sono anche poetiche per le immagini e le risonanze di natutra musicale, che spesso le accompagnano.

Il primo aspetto da prendere in considerazione riguarda, pertanto, la struttura della pagina che, come detto dianzi, spesso si fa poesia. Sin dall’inizio, il romanzo vive questa misura di poesia. Si apre, infatti, con immagini e con suoni di natura poetica: “Il mio è un diario di sangue. Il mio cuscino è di pietra, il mio lenzuolo di terra, il mio cielo di ossa, il mio profumo di pianto, i miei anni di guerra. Oh, celeste Miòsotide” (cfr. p. 64). Un intimo e struggente sospiro dell’anima segna l’incipit del romanzo; e poi quell’invocazione a Miosòtide rende ancor più vago il tono poetico della pagina. Miosòtide, ovvero Myosotis, simbolo forse dell’immortalità dell’amore e della memoria, non nel senso del ricordare, ma nel senso dell’essere ricordato.

Un dolce profumo di greca spiritualità sembra alzarsi dal termine Myosotis e, del resto, un forte senso di grecità impregna le pagine del romanzo e della sua poesia. E tante altre sono le pagine poetiche, come ad esempio: “Oh, lacrime senza stagioni, cadute nel rogo del mio grembo, tutte io vi accolgo come Stelle” (cfr. p. 110); ed ancora: “La notte mi sentivi respirare; ti possedevo come la sirena fa con il mare (…). Ero scialuppa e tu navigante, insieme al quarzo nel giogo del quadrante” (cfr. p. 188). E potrei continuare! Immagini e musicalità, segnano il cammino di tante pagine di questo bel romanzo, un romanzo interessante e profondo che mette a fuoco un’anima.

Del resto, leggere un’opera di Maria Teresa Liuzzo è sempre piacevole e consente di uscirne arricchiti dentro. Affrontare questa sua fatica, la seconda della trilogia, significa affondare lo sguardo nei meandri più reconditi della sua interiorità, che assurge a paradigma della psiche umana. E’un’anima forte, l’anima di Mary, la protagonista di questo viaggio nel mondo dell’amore che, per eccesso e per difetto, è protagonista, con lei, della sua storia umana, una storia di momenti esaltanti e di tante solitudini e sofferenze. “Mary – scrive la Liuzzo – osservava, ancora una volta, sé stessa sulla copertina del libro: non si riconosceva più, oggi, come donna e madre, ma si vedeva figlia di sé stessa, rinata dalle macerie delle sue ibride metastasi” (cfr. p. 114). E le “metastasi” ci sono sempre nella vita di ogni essere sensibile e sono la conseguenza della “crudeltà dei mediocri”.

Eloquente, in merito, è la lettera di Mary alla madre! “Cara mamma, non mi sarei mai aspettata che, proprio tu, avresti potuto distruggere i miei sogni di bambina, cancellare iridati arcobaleni per costruire ad arte cieli di catrame e loculi di calce”(cfr. p. 64). E’ l’amore, in questo caso nella veste di “difetto d’amore”, è l’amore che talora, quando viene meno o non c’è, perché non c’è mai stato, può creare il vuoto della vita e la profonda inquietudine e la struggente solitudine dell’anima. La famiglia di Mary è la condizione prima del suo sofferto viaggio, del vuoto della sua vita, dei suoi tanti problemi e della sua inquietudine. Mary, però, è forte e prova a reagire scrivendo. Sì perché, insieme con l’amore, essa ha anche un altro grande dono, l’arte dello scrivere. Ma anche in questo trova l’ostacolo della famiglia. “Non devi più scrivere – le dice un giorno la madre per telefono – non ti vergogni?

Sei una bugiarda, ecco cosa sei, una pazza bugiarda! Tuo padre ti voleva bene, non dovevi parlare, dovevi tacere. Pagherai a caro prezzo questo tradimento” (cfr. p. 75). E, poi, di nuovo con un’altra telefonata: “Per noi sei morta, non devi scrivere più, è un ordine! (…). Con i tuoi scritti hai avvelenato le nostre vite e imbrattato un pezzo della nostra storia” (cfr. p. 75). Ma essa abita l’arte e la fa propria attimo dopo attimo: “Il mio paese, la mia casa, la mia capanna, la mia canoa, sono il mondo della mia Scrittura (…) perché, come sai, il mio cuore è senza Patria. Abiterò sempre le stanze dei miei libri” (cfr. p. 108). E’ una vita difficile, la vita di Mary, una vita che trova conforto nell’arte e sollievo solo nell’amore, un amore che essa vive profondamente. Lo vive come in sogno il proprio amore, quell’amore per Raf che essa sembra concretizzare quasi in una proiezione della propria anima piuttosto che in una dimensione reale. Lo vive in un tempo tutto proprio, un tempo sospeso, in cui abitano i fantasmi e le voci dell’anima.

“Ma Raf e Mary erano platani nell’Immensità, balze di rossore inchinate ai girasoli. Anime nude in calici di sospiri. Mary pensò: – Stanotte dormo abbracciata ai miei ricordi, al Verso che non mi fu fedele amante, non solo in Terra, ma anche nei Cieli dell’Oltre” (cfr. p. 109). E, talora, anche per l’inquietudine dell’anima, s’affaccia, nel romanzo, l’idea della morte, un tema inquietante, su cui però vince sempre la Vita. A questo punto, però, è importante ricordare che l’amore è soprattutto cariS, benevolenza, cioé volere il bene dell’altro piuttosto che il proprio. E’ questo il sentimento che, a mio giudizio, incarna Mary. Essa vuole il bene dell’altro e sa sacrificarsi per garantirlo.

E’ questa la radice di fondo dell’inquietudine di ciascun innamorato vero. “L’Amore di Mary le sussurrava – I tuoi sogni riposano in fondo al mio cuore, dove la notte distende ghirlande di sangue -. Lo stesso Amore racchiudeva la tempesta (…) il Tempo le restituiva la dolcezza delle palme e, rivolgendosi a Raf, disse: – A chi lascerò i sogni di questa notte infelice? (…). Di questa lunga attesa che macera e ci trascina per il bavero?” (cfr. p. 131). Quanti dolci moti emotivi agitano il suo cuore, quali dolci sogni e quali amare delusioni abitano la sua anima! Alti e bassi, in sé, ha l’amore, vaghe fughe di entusiasmo e sottili ripiegamenti di sospiri! E tante sono le “Vite” dell’amore.

Ma la storia di ciascuno ha sempre in serbo, in sé, delle contraddizioni e delle tristi sorprese. “- Addio Raf, Amore della mia breve e disgraziata Vita. Mentre cercavi il tuo cuore tra le mie vertebre, ti ho lasciato l’ultima pennellata del mio sangue. – Dai tempo al Tempo, e io darò lungo respiro al tuo perdono” (cfr. p. 194). E’ bello e profondo questo secondo romanzo della trilogia di Maria Teresa Liuzzo e sa toccare il cuore del lettore in modo sublime. C’è un cammino dialettico nella trilogia della Liuzzo, almeno questo mi sembra di scoprire e di sentire, un cammino dialettico di sapore hegeliano.

Il primo romanzo, infatti, si propone come storia concreta di un’anima che si svela, nel proprio sofferto vissuto; il secondo come inquieto ripiegarsi della stessa su di sé per smarrirsi e ritrovarsi nel tentativo di dare un senso al tutto. Cosa ci riserverà il terzo? Chissà! Forse il rinvenimento della misura esaustiva del senso dell’amore e della vita, cui sembrano tendere la ricerca ed il viaggio stesso dell’anima.

Eugenio Maria Gallo

Eugenio Maria Gallo

Share: