di Carmelo Ciccia
Si riteneva che, completata la trilogia narrativa con la morte della protagonista, non dovesse esserci un quarto romanzo di Maria Teresa Liuzzo; ma invece eccolo qua: La luce del ritorno (A.G.A.R., Reggio di Calabria, 2022, pagg. 184). E addirittura se ne preannunciano altri.
Anzitutto ciò che sembra opportuno segnalare è la difficoltà di recensire tutti i libri di quegliautori che ne pubblicano in continuazione, magari uno ogni cinque-sei mesi. Ecco perché certi recensori si limitano a recensire al massimo due libri per ogni autore/autrice richiedente. Infatti nei casi di pubblicazioni a getto continuo di libri poetici (e tali sono i romanzi della Liuzzo, fondamentalmente poetessa), s’è costretti a ripetere giudizi e dettagli già espressi.
Nel caso di questo romanzo tocca ripetere quanto in precedenza detto relativamente alla trama esile, surreale ed evanescente (dato che il contenuto per la maggior parte si risolve in pensieri, ricordi, confessioni e trepidazioni), alla prosa poetica, all’alternanza prosa-versi che ne fa un prosimetro, al linguaggio colto, ricercatoe raffinato che talora riesuma parole e locuzioni arcaiche e desuete (ad esempio, avvegna dio che di p. 42, che si può rintracciare nel dizionario di Tommaseo-Bellini del 1861), esige l’uso di dizionaridi diverse lingue, ma non sempre con successo (ad esempio, per adynata, drachìgelo, sugillazione, quiàbita, fantasimo:rispettivamente alle pp. 36, 37, 43, 55, 60), e spesso ricorre all’anastrofe e all’iperbato, alla musicalità del testo, alle rime ed assonanze, alle numerose figure retoriche, ed in particolare alle metafore, sineddochi e metonimie: tutte cose che ad ogni modo dovrebbero incentivare la lettura d’opere così congegnate, anche se talora vi si trovano espressioni poco chiare che richiamano il “trobar clus” degli antichi trovatori provenzali e l’ermetismo dei moderni poeti italiani, come ad esempio nel sottotitolo “Dopo tanto buio fuoco un’alba di luce” (copertina e pp.1 e 15) e nelverso “E ora reggimi come un luna sguardo” (p. 67).
La verità è che la Liuzzo possiede un notevole bagaglio culturale e un variegato mondo fantastico, i quali urgono per essere estrinsecati, a beneficio dei lettori e di lei stessa personalmente. Per questo non deve passare inosservato questo quarto romanzo dell’autrice, e anzi dev’esserne raccomandata la lettura come per i tre precedenti, in considerazione dei vantaggiculturali e spirituali che ne derivano: una lettura che per riuscire meglio dev’essere lenta, senza fretta di giungere alla fine, in modo da poter apprezzare meglio gli elementi costitutivi e la tecnica impiegata nel testo.
Dunque questo romanzo continua la saga della figlia maltrattata e perseguitata da genitori degeneri, ai quali s’associano altri loschi individui appartenenti o no allo stesso nucleo familiare. I cicli narrativi non sono una novità nella letteratura, cominciando da quello d’Omero (o prima) e proseguendo — soltanto per fare qualche nome — con quelli di Dante, Balzac, Verga, Fogazzaro,Proust, ecc. Il termine saga s’adatta bene al ciclo svolto dalla Liuzzo, perché in questo romanzo ci sono riferimenti, suggestioni e termini appartenenti alla mitologia nord-europea; c’è l’impiego d’una sbrigliata fantasia, fantasiosità e fantasticheria, con leggende, fiabe e filastrocche, elfi, orchi, streghe, gatti neri, sonnambuli, spiriti e fantasmi dell’Orrore, cimiteri e scheletri, tanto che a volte si ha l’impressione di leggere proprio un racconto epico d’area celtica o norrena.
Già all’inizio è la sua bambola animata che rievoca la protagonista Mary (entrambe nell’immagine di copertina), ne elenca i torti inflittile (in particolare dalla madre snaturata, che continua a parlar male di lei anche dopo la sua prematura morte e il suo funerale) e chiama in scena personaggi del passato a far da contorno al suo spirito rivitalizzato in un ambiente ripristinato con frasi, vicende e sentimenti pregressi. La bambola Mia, proiezione o estensione della protagonista e quindi dell’autrice stessa, potrebbe rimandare all’omonima filosofa di Crotone Mya/Μυῖα/Myía/Mia, figlia di Pitagora (sec. VI a. C.), vissuto e morto nell’attuale Calabria, e moglie del condottiero e lottatore Milone, la quale ha elevato la dignità delle donne ed è citata nell’elencodelle diciassette donne pitagoriche illustri formulato da Aristosseno di Taranto (sec. IV a. C.).
A sua volta la protagonista Mary rievoca alcune delle violenze subite, fra cui il tentato omicidio da parte del padre e la rasatura a zero dei capelli, in modo che essa potesse sembrare un maschio e così mascolinizzata essere messa a disposizione in una cascina di due zii pedofili, che ne abusavano sessualmente (e di cui uno tenterà di fare di lei la sua concubina addirittura nell’inferno). Inoltre il divieto impostole di parlare con estranei serviva a non far riconoscere dalla voce che si trattasse d’una femmina, facendo invece credere agli altri che si trattasse d’un ragazzo venuto da lontano a lavorare in quelle campagne. Ecco perché lei racconta che “Il profilo da mostro di mia madre apparve, / vampiresco…”(p. 99); e rievoca anche una zia che le dava da mangiare pane con escrementi d’uccelli, due feroci sorelle gelose che le propinavanourina di lupo e funghi allucinogeni, un graduato delle forze dell’ordine corrotto e falso in tribunale e un fratello dapprima onesto e fedele ma alla fine anche lui traviato.
Insomma in questo quarto romanzo della Liuzzo ci sono sì persone, vicende e situazioni già descritte, ma ci sono anche delle novità e delle sorprese che invitano a leggerlo con interesse e piacere. La prima novità è ch’esso si svolge dopo la morte della protagonista e quindi in un mondo che nella realtà non esiste, maesiste soltanto nella mente umana; perciò i suoi personaggi sono — dantescamente parlando — “ombre” e come tali si muovono, parlano e agiscono. Tramontato Raf padre, il cui spirito qui fa pure una breve apparizione, emerge Raf figlio; a sua volta il Principe, che all’inizio rivolge un commosso epicedio alla defunta, assume un ruolo da coprotagonista (praticamente sostituendo Raf padre); e spunta lo spirito d’una sconosciuta sorella gemella, che, perita in un incidente aereo, prima si è materializzata nella suddetta bambola e dopo si sostituisce a Marynella bara. Ma alla fine la bambola Mia, come avvenuto a Pinocchio, si trasforma in una bellissima bambina, mentre Mary trova la felicità col suo Principe e il romanzo si chiude con diverse prospettive.
La narrazione è condotta ora in terza persona ora in prima (io, me, mio…), confermando la sovrapposizione dell’autrice alla protagonista e viceversa, in un’identificazione almeno parziale delle due figure. Ai fini della percezione visiva, poi, risulta utile l’alternanza dei caratteri tondo e corsivo ed è apprezzabile l’allineamento a sinistra dei componimenti in versi (anziché al centro, come nell’insensata moda epigrafica ora invalsa), mentre continuano ad essere disagevoli la scarsa inchiostrazione delle pagine e l’esiguità dei margini bianchi di molte d’esse. Le sviste sono rare: qualche virgola fuori posto, qualche termine straniero non in corsivo, “Nàufragi” (p. 24), “alcun stipendio” (p. 34), “vìrida” (p. 51), “sulle tua calde labbra” (p. 53), “bel arcobaleno” (p. 76).
Quanto alla forma linguistico-espressiva qui tocca ripetere anche quanto detto in precedenza sui periodi brevissimi dell’autrice, magari costituiti da una sola proposizione nominale, a carattere lapidario o apodittico. In certe pagine l’assenza d’un ampio respiro, e quindi il susseguirsi di frasi non collegate sintatticamente le une alle altre per mancanza di periodi complessi (con proposizioni principali, subordinate e coordinate), sembra riprodurre il frammentato delirio d’un’agonizzante, per giunta avvilita dalle violenze, umiliazioni e crudeltà varie per lungo tempo subite.
Infine non si può trascurare il fatto che circa metà del libro è occupata dal critico Mauro D’Castelli, da vari anni autorevoleguida e collaboratore della Liuzzo, il quale con la sua ben notaacribia ha steso la prefazione, le note, la postfazione e il glossario, sviscerando ed esaltando questo come anche i precedenti lavori dell’autrice, di cui certamente facilita e ottimizza la fruizione.
Carmelo Ciccia