Mi chiamo Elena, ho 29 anni e da quando ne avevo 20 frequento l’Albania.
Frequento è il termine giusto da usare nel mio caso, perché vado da allora la media di una volta al mese.
Il primo viaggio fu nel settembre 2008. Non avevo idea di cosa avrei trovato, non conoscevo questo Paese che ho poi scoperto essere così vicino, non solo geograficamente, conoscevo solo il motivo per cui mi stessi recando là: Marjan, oggi mio marito e padre del mio bambino.
Lui, cittadino albanese arrivato in Italia adolescente nel 1997, è rientrato in patria per intraprendere una nuova attività in campo edile ed è iniziata anche la nostra vita da pendolari Bergamo-Tirana A/R.
Una premessa per spiegare come ho deciso di dedicare la mia tesi di laurea a un Paese che fino a qualche anno fa non aveva una grande risonanza mediatica in Italia, mentre oggi, finalmente, le cose stanno cambiando. “Dove i bunker diventano coccinelle” è la mia tesi di laurea sull’Albania, un excursus storico dal periodo dell’invasione Ottomana, sino a oggi, inclusa la mia personale esperienza, pubblicato dalla casa editrice Besa.
Desideravo tanto che diventasse un libro, non solo perché scrivere è sempre stato il mio sogno, ma per il fatto che durante le letture per la tesi avessi faticato a trovare un testo che in maniera esaustiva, senza dilungarsi troppo, raccontasse la storia albanese, illustrasse le vicissitudini di questo Paese e di questo popolo agli italiani che così poco conoscono.
Conosciamo poco di una realtà che da secoli ha rapporti con noi e che per un periodo (epoca fascista) è diventata provincia italiana (l’occupazione durò dal 1939 al 1943), che durante il periodo di dittatura enverista ha sempre guardato all’Italia con ammirazione grazie ai canali televisivi Rai, rigorosamente proibiti dal regime. Un popolo che negli anni Novanta ha fisicamente riallacciato i rapporti con l’Italia, quando a seguito della caduta della dittatura, moltissimi cittadini albanesi hanno cercato nuova vita emigrando.
Oggi la comunità albanese in Italia vanta cifre importanti, quasi mezzo milione di abitanti, e dall’altra parte molti italiani si stanno recando in Albania a lavorare e vivere da alcuni anni. L’Italia è il primo partner commerciale del Paese delle Aquile con oltre 400 tra aziende e join-venture dislocate sul territorio albanese.
Detto ciò è, a mio avviso, giusto che per interesse, curiosità, motivi personali, relazionali e via dicendo, gli italiani si informino e conoscano la realtà albanese. Una storia appassionante, ricca, frastagliata che rivela le ragioni della particolarità di questo popolo. Il libro racconta questo: la massiccia presenza ottomana durante i secoli di occupazione, la ricerca d’indipendenza e la nascita dello Stato Albanese nel 1912, l’orgoglio nazionale, le difficoltà dovute a una mancata storicità politica, l’annessione all’Italia e il periodo del comunismo enverista che ha chiuso il popolo albanese all’Europa e al mondo.
Uno spiraglio i cittadini hanno però sempre cercato di mantenerlo. La difficile transizione democratica degli anni Novanta, il rischio della guerra civile e infine una nuova Albania: Albania 2.0 quella che si sta ancora costruendo, grazie anche ai cittadini che sono emigrati e che decidono di rientrare.
L’Albania è un mondo da scoprire. “Un esotico vicino a casa”, così lo definirono gli italiani che emigrarono nel 1939. Quel sapore esotico ancora c’è, grazie anche alle sue splendide coste, al mare cristallino, a un territorio ricco di bellezze da offrire a un turismo in continua crescita.
L’Albania è ospitalità, folklore, spazi verdi, aree incontaminate, spiagge bianche, città caotiche, movida, bar e ristoranti, colore, e soprattutto totale assenza di banalità, ovunque si vada.
Questa è l’Albania che cerco di presentare e descrivere nel mio libro, un Paese dove i bunker (simbolo della dittatura) riescono oggi a trasformarsi e diventare coccinelle./Elena Pagani