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E adesso parlo! Esclama in prima persona il romanzo di Maria Teresa Liuzzo.

Recensione a cura di Giulia Bocchio

Le pagine, attraverso questo titolo quasi insolito, quasi inaspettato, ma certamente efficace e forse addirittura l’unico possibile, sembrano voler esprimere tutta la forza e la dirompenza di un discorso diretto, di un discorso fatto per essere non solo letto ma addirittura ascoltato, poiché un flusso di parole intrise di metafore e lucide sinestesie si offrono al lettore anche nel loro suono profondo.
Un suono che oscilla, un suono che sa farsi urlo e tuono oppure sogno e melodia amorosa.
La penna dell’autrice è una penna che delinea tutti i sensi e il senso stesso dell’esistenza per raccontare le vicissitudini tutte di un vissuto, di un ego consapevole, di un ego che si rinnova grazie all’atto stesso della scrittura. L’impeto creativo è qui tradotto come un impeto di vita.
Una penna, quella di Maria Teresa Liuzzo, che affonda nella terra natia con lo stesso ardore e con la stessa forza con cui affonda nelle ferite, nelle ingiustizie e di getto si tuffa nel sangue del dolore e della passione, che qui ricalca con pienezza il significato latino di pati, ovvero patire, soffrire. Perché Mary, il soggetto vivo e vivido del romanzo, soffre e spera, sogna e si tormenta, muore e crea.
A questo proposito è importante sottolineare come la scrittura, intesa come atto supremo non solo di indagine interiore ma umanissima forza magnetica che attrae a sé la verità, nuda e spoglia, del reale, è qui vera e propria traccia indicatrice di un sotterraneo esercizio mai esausto di cuore, pensiero e ispirazione.
Le avventure di Mary, che sarebbe meglio definire “peripezie”, si snodano fra stralci di testimonianze dure, taglienti, a tratti addirittura crude per poi essere medicate dalla poesia, dalla trasfigurazione che la sua mente opera sul corpo e sullo spirito.
Le parole, in questo romanzo, hanno un doppio peso e un doppio piano rappresentativo; l’oscillazione del male che si trasforma in bene, che deve trasformarsi in un senso morale alto e puro se vuole divincolarsi dalla morsa dell’ombra e della menzogna, trova nell’anima di Mary un linguaggio nuovo che si risolve in amore totale.
Amore verso Raf, nonché amore completo per le arti, la cultura e la poesia: tutti elementi redentori, elementi di resilienza, elementi che abbracciano l’urto dell’empietà e ne accettano le crepe ma solo per convertirle in lampi di luce.
Ed ecco che veniamo a un altro senso, quello della vista.
Le immagini che Maria Teresa Liuzzo disegna con le parole sono luminose, autenticamente romantiche se di tempesta e impeto si tratta: il racconto della vita di Mary, il suo vissuto tragico, è

certamente costellato di tinte fosche, di momenti di buio e oscurità assoluta ma ogni pagina fa del dolore un rinnovato spettro ottico di colori, persino la notte della vita e della speranza è illuminata dal chiarore delle stelle, ove la natura umana e la natura del creato si fondono in un’unica fonte di salvezza: il perdono.
L’atto del perdonare è un azione che Mary compie più volte, in questo l’aiutano la fede e la certezza morale del bene, che conduce sempre al bene.
Il suono del pianto, le urla, il rantolo del dolore e l’acuta voce della violenza è una polifonia che il cuore di Mary risolve in un amore spirituale e fedele, che assume i lineamenti di Raf e si fonde nell’amicizia totale che sa dare un animale, per poi trasformarsi (e tras-figurarsi) ancora in poesia, in scrittura salvifica.
E adesso parlo! Chiosa il titolo di quest’opera.
E adesso comprendo! È la risposta che meriterebbe Mary, dalle bocche dell’ingiuria.
E adesso comprendo la forza dell’arte, delle anime giuste, la forza della sincerità, la forza di chi sa dire la verità! Verrebbe da rispondere a noi lettori.

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