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Tolkien. 50 anni. La mostra dell’Accademia d’arte di Roma è un importante viaggio tra vita e opera

Di Pierfranco Bruni

“Il mondo è davvero pieno di pericoli, e vi sono molti posti oscuri; ma si trovano ancora delle cose belle, e nonostante che l’amore sia ovunque mescolato al dolore, esso cresce forse più forte” (Tolkien)
Il bene e il male. O il male e il bene. Viaggio nell’animo umano con le metafore e gli immaginari alla ricerca forse di un mosaico onirico che del sogno ha l’esistenza. Ha la trasparenza della eleganza di ciò che diventa mito e il mito in simboli.

Trasposizione di metafore che si allungano nel circuito magico dei sensi, dei sentimenti, dei segni incpusaliti nel lirico delle visioni. Hobbit. Ma cosa significa? Tolkien! A 50 anni dalla scomparsa il Ministero della Cultura ha organizzato una mostra assolutamente innovativa ma anche complessivamente completa: dall’uomo allo scrittore. Attraversando i personaggi che hanno caratterizzato un modo di fare letteratura partendo dai personaggi come se i personaggi fossero tutto. E sono tutto perché si supera il sottosuolo del male per rigenerarsi nella luce stellare.

La mostra allestita alla Galleria Nazionale d’Arte di Roma porta sulla scena, con meticolosa perizia e scientificità oltre che con formule didattiche moderne, tutto il laboratorio tolkiano. Compreso quel senso di un sentirsi italiano di un  Tolkien che pone come punti nevralgici il Signore e gli Anelli, ovvero il Signore degli Anelli in una allegorica immagine che ci riporta: “In buco nel terreno viveva un Hobbit”.

Un personaggio, lo scrittore stesso, di un altro tempo, era nato nel 1892 in Sudafrica e morto nel Regno Unito nel 1973, che inventa un modi completamente nuovo di fare letteratura attraverso un narrare che parte dal romanzo epico in un inglese quasi arcaico. D’altronde quella sua Terra di Mezzo è un’epica già in una onirica geografia magica. Grazie ad una lingua nuova che è quella degli hobbit reinventa il valore dell’uomo nuovo le cui prodezze sono dettate dalla forza, dalla acutezza, dalla perspicacia non rammaricandosi di nulla e neppure dal dolore fisico il quale viene condiviso costantemente con gli uomini.

Alla base c’è chiaramente il modello fantasy le cui ispirazioni sono la tangibilità di una letteratura che cattura in una molteplicità di interpretazioni. Se si pensa che Tolkien ha inventato 10 lingue attraverso vari alfabeti ci si può rendere conto anche dei linguaggi iconici che si rapresentano tra elfi e personaggi altri. Ma i particolari sono tanti come la congiuntura tra tempo e spazio e la non sopportazione proprio dei luoghi chiusi che non appartengono alla Terra di Mezzo. La Resistenza a tutto è un grande insegnamento. Come la Compassione.

“Senza fede è colui che dice addio quando la strada si fa buia”.

In questa strada buia si accende sempre una bifora di luce. È questa luce che illuminerà il cammino della Terra e della Coscienza. Bisogna avere il coraggio di non abbandonarla.

La mostra del Mic è una grande e straordinaria strada che ci conduce a comprendere la vita, l’opera e la creatività di un maestro della letteratura moderna.

Tolkien ci ha insegnato che “Tuttavia dietro l’angolo ci può aspettare, una nuova strada o un cancello da varcare”.

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