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TURISMO: L’ALBANIA SI SCOPRE “LITTLE ITALY”, MA I GIOVANI CHE STUDIANO L’ITALIANO PREFERISCONO I CALL CENTER AL LAVORO IN BAR E HOTEL!

L’ex ceto medio italiano è sempre più presente a Tirana. Allora perché non incentivare, con progetti specifici, i giovani albanesi, impegnati nei corsi scolastici italiani, a vivere una stagione lavorativa nelle imprese turistiche? E queste ultime a cambiare mentalità sulla valorizzazione del personale di sala e di reception?
Di Alessandro Zorgniotti
Da Durazzo a San Giovanni di Lezha, da Valona a Saranda, passando un po’ tutti per la Capitale Tirana, è proprio il caso di dire “Benvenuti nella Little Italy di fronte”.
Chi scrivi ha memoria dei bellissimi soggiorni trascorsi da bambino in riva al mare della Liguria e sicuramente rivivere oggi quelle atmosfere e quelle ambientazioni, anche dal punto di vista della qualità balneare, crea un certo effetto psicologico positivo. E come in me, così anche nelle altre migliaia di persone che stanno accorrendo nelle località – marittime e non solo – albanesi dove, nel totale dei primi cinque mesi dell’anno in corso, i visitatori arrivati sono stati quasi un milione e mezzo. Un numero che, sulla base del colpo d’occhio che si ha stando a Shengjin piuttosto che a Durazzo, ma anche nell’entroterra in località del Sud ridenti come Permet, è destinato a ripetersi nel corso di questa stagione estiva e in un arco di tempo ancora più breve.
Proprio qui devono però scattare le necessarie attenzioni. In un Paese, l’Albania, che – forse più di ogni altro in Europa – sta registrando la percentuale più alta di arrivi e presenze da parte dell’ex ceto medio italiano – quei lavoratori o ex tali che trovano qui le condizioni ottimali dell’Italia di prima della crisi economica – la necessità di politiche in grado di non compromettere questo sviluppo nascente è oramai vitale e fondamentale.
La riduzione dell’IVA turistica al 6 per cento, che finalmente avvicina il Paese delle Aquile ai suoi diretti concorrenti balcanici – in primis la Macedonia dove da molti anni è già in vigore una aliquota fiscale addirittura al 5 per cento – deve essere soltanto il primo passo da compiere verso l’obiettivo “Little Italy del Balcani”.
Chi scrive, durante l’estate, sia per vacanza che per lavoro, ama girare diverse Capitali dei Balcani occidentali, e il primo particolare evidente che nota è la grandissima differenza fra i grandi fiumi che attraversano le principali Città. Chiaramente, anche per motivi urbani e di larghezza, il Lana di Tirana non è paragonabile al grande fiume di Skopje, però vedere che nella Capitale della Macedonia si costruiscono hotel, bar e ristoranti a forma di velieri e di antiche imbarcazioni sospese sul corso d’acqua, a pochi metri dal traffico automobilistico e dai grandi palazzi cittadini, mi porta a pensare come mai nello sviluppo turistico di Tirana – accanto alla riqualificazione “europea” di Piazza Skanderbeg che qui non discuto – non sia stato inserito anche un piano definitivo di bonifica del Lana che nessuna “rinascita” di destra o di sinistra è riuscita a far cambiare di colore dal fango all’azzurro.
Andando nelle località costiere, ci si rende conto inoltre di come, lasciando a parte la buona volontà dei singoli operatori, ancora molti, troppi pubblici esercizi – bar, ristoranti, hotel – non prestino la giusta attenzione alla formazione, linguistica e comportamentale, del personale di sala, primo biglietto da visita per quanti arrivano soprattutto dall’Italia e che, va ricordato ancora, è la ex classe media oggi tendenzialmente in pensione.
Non sta a me, e non sta a noi mettere in discussione quanto emergerebbe – il condizionale è d’obbligo – dalle statistiche ufficiali che assegnerebbero un buon piazzamento alla diffusione della lingua italiana nel Paese delle Aquile. Il problema è che, andando in vacanza da Nord a Sud dell’Albania, il visitatore non se ne accorge. Quindi la conclusione sorge logica: chi studia la lingua italiana svolge poi altri lavori, soprattutto nei call center ma anche qui ci sarebbe da discutere parecchio, e questo vuol dire che nel settore turistico albanese non ci sono i necessari incentivi a inserire lavoratori qualificati.
Perché, ai tempi della mia prima giovinezza, chi studiava utilizzava le vacanze per arrotondare lavorando in qualche pubblico esercizio. Probabilmente, lo ripeto, chi studia nei corsi di italiano in Albania non ha le giuste aspettative nello svolgere quello che – in teoria – è un lavoro dignitosissimo in campo turistico, ossia lavorare in un bar, ristorante o hotel per dare il benvenuto alle famiglie italiane in arrivo in Albania.
Questa è la sfida alla quale, ad avviso di chi scrive, sono chiamate le Istituzioni pubbliche italo-albanesi presenti a Tirana. Perché la diffusione della lingua di Dante è la conseguenza di scelte politiche e amministrative coraggiose, e la stagione estiva dovrebbe essere utilizzata per avviare delle sperimentazioni nuove e coraggiose in questo senso.
Per esempio, perché non stabilire sulla base di progetti specifici – e attraverso degli accordi e delle convenzioni specifiche agevolate dai nostri Uffici diplomatici e dalle strutture culturali e formative collegate agli stessi – che i giovani studenti albanesi, impegnati nei corsi scolastici e universitari italiani, dedichino una parte della propria stagione estiva a lavorare in imprese turistiche albanesi aderenti a progetti specifici di adeguamento dei loro standard qualitativi e di accoglienza?
 
Se sono vere le dichiarazioni che indicano il turismo come nuova industria albanese, gli incentivi fiscali sono importanti – anzi al confronto con quelli in vigore in Paesi coma la Macedonia ancora non bastano e devono essere aumentati e rafforzati – però accanto agli stessi occorre immaginare progetti che portino il settore turistico dell’Albania a diventare – per i giovani delle Aquile impegnati a studiare nei corsi italiani – più attraente di un call center.
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