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Cucine d’Italia: quando la storia (non solo gastronomica) si fa nei bar e nelle botteghe

Da Torino a Napoli passando per Roma, con una “escursione” in Albania: alla scoperta dei locali storici che hanno servito re e rivoluzionari e hanno scandito le vicende del nostro paese

BAR, ristoranti, alberghi frequentati da intellettuali, artisti, politici. Locali che sono sopravvissuti alle lotte tra Guelfi e Ghibellini, che hanno servito re e rivoluzionari, surrealisti e premi Nobel, che hanno fatto la storia d’Italia e che ancora oggi continuano a farla. Il prossimo numero di Rfood, in edicola giovedì 5 aprile, racconta i locali storici – per essere tali devono avere più di 70 anni di vita ed arredi sostanzialmente originali – attraverso la guida che l’omonima associazione pubblica. Lo fa attraverso le loro cucine: da quella di Checchino, dal 1887 ricavata fra le anfore del Monte Testaccio a Roma, dove è stata cucinata la prima “coda alla vaccinara”, al Caffè Mulassano di Torino dove Angela Nebiolo nel 1926 concepì quello che d’Annunzio avrebbe battezzato “tramezzino”.

Il viaggio nei sapori della tradizione continua a Palazzo Petrucci, nel cuore di Napoli, per conoscere la pasta di Gragnano prodotta da Giovanni Assante e cucinata da Lino Scarallo. Dall’Italia all’Albania, il viaggio di ritorno di uno chef che dopo diversi anni nelle cucine italiane ha scommesso sulla ricchezza gastronomica del suo paese: succo di melograno fermentato, pasta all’uovo fatta a mano e cotta nel forno a legna con un pollo ruspante, una specie di pancake cucinato sotto la campana, un forno costituito da una cupola in metallo su cui vengono disposti i bracieri accesi… E tutto in campagna: agriturismo ed emporio ricavati da un ex campo di prigionia.

Il prossimo supplemento di Repubblica dedicato al cibo parlerà anche di una fromagerie molto particolare, tutta dedicata ai formaggi delle malghe, venduti in scatola e a chilometro zero. Completano il viaggio nei sapori le rubriche di Dario Mangano, Laura Di Cosimo, Andrea Mattaccheo, Eugenio Signoroni e Andrea Pieroni./Repubblica.it

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