Home Approccio Italo Albanese Allargamento ai Balcani: più carote e bastoni. E il coraggio?

Allargamento ai Balcani: più carote e bastoni. E il coraggio?

Di Dario D’Urso

Come ampiamente prevedibile, la proposta di riforma della metodologia per l’allargamento ai Balcani occidentali adottata dalla dalla Commissione europea il 5 febbraio non delinea una rivoluzione delle procedure esistenti, ma cerca – non riuscendoci del tutto – di stabilire un equilibrio tra le istanze di alcuni Stati membri per un maggiore controllo politico in itinere del processo e l’auspicio che questi ultimi e le istituzioni comunitarie parlino con una voce sola – e possibilmente benevola – ai Paesi della regione balcanica.

La proposta che la Commissione ha avanzato all’attenzione del Consiglio non si discosta di molto dall’ormai famoso non-paper francese, già di per sé tentativo di far apparire come costruttivo il no di Parigi all’apertura dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord lo scorso ottobre. Come la proposta francese, anche quella della Commissione raggruppa i capitoli negoziali in cluster sequenziali, ed enfatizza la necessità che i negoziati per quello che raggruppa i Fundamentals dei capitoli 23 e 24 (Magistratura/Diritti fondamentali e Giustizia/Libertà/Sicurezza) vadano aperti per primi e chiusi solo alla fine di tutto il processo negoziale, che prevede altri cinque gruppi (Mercato interno, Competitività e crescita inclusiva, Agenda verde e connettività sostenibile, Risorse, agricoltura e coesione, Relazioni esterne).  I cluster verranno aperti solo dopo il raggiungimento di determinati benchmark, mentre i capitoli al loro interno potranno essere chiusi singolarmente, in un lasso di tempo che il documento auspica non superi l’anno.

Integrazione graduale

Come il non-paper francese, la proposta della Commissione prevede una serie di benefici graduali ottenibili alla chiusura di ogni gruppo di capitoli:  un phasing-in dei Paesi candidati in singole politiche e programmi comunitari, e l’accesso ai rispettivi finanziamenti. L’avanzamento su ogni capitolo e cluster dovrà essere tracciato da una serie di condizioni che la Commissione vorrebbe ‘obiettive, precise, dettagliate, stringenti e verificabili’, in un tentativo, almeno sulla carta, di limitare l’elevato grado di soggettività politica a cui i Paesi dell’allargamento sono sottoposti (sia a loro vantaggio sia a loro svantaggio) nel processo di avvicinamento a Bruxelles.

Ciò, secondo il documento, dovrà essere accompagnato da un intensificato dialogo politico ad alto livello, attraverso la partecipazione degli aspiranti Paesi membri a summit Ue-Balcani occidentali a cadenza regolare, fino ad arrivare alla possibilità per essi di partecipare come osservatori a specifici Vertici europei su questioni di importanza sostanziale.

Così come le ‘carote’, anche i ‘bastoni’ appaiono ispirati alle posizioni di Parigi: la proposta prevede infatti la possibilità di punire eventuali rallentamenti o arretramenti delle riforme, specie quelle relative allo stato di diritto, introducendo la possibilità di congelare, sospendere o addirittura resettare i capitoli in corso di negoziato, con conseguenze sui relativi finanziamenti europei. Tali misure punitive potranno essere adottate su proposta degli Stati membri e sulla base delle valutazioni che la Commissione continuerà a fare annualmente con la pubblicazione del suo Enlargement Package. In una forte concessione alle istanze degli Stati membri, le misure punitive potranno essere approvate dal Consiglio attraverso procedure di voto semplificate (come la maggioranza qualificata inversa, che prevede l’adozione di una decisione a meno che una maggioranza qualificata degli Stati membri sia contraria).

Sei Paesi, regole diverse

La nuova metodologia si applicherebbe sia ai Paesi che aspettano di aprire i negoziati (Macedonia del Nord e Albania) sia a quelli che non hanno ancora ottenuto lo status di candidato (Bosnia-Erzegovina e Kosovo), lasciando ai frontrunner Serbia e Montenegro la possibilità di decidere se continuare i negoziati con il vecchio approccio – capitolo per capitolo; meno carote, meno bastoni – o se invece passare a quello nuovo, pur senza chiarire le modalità di passaggio.

Nel suo complesso, la proposta della Commissione appare come un tentativo non troppo velato di appeasement verso la Francia, probabilmente allo scopo di ammorbidire la posizione di Parigi su Macedonia del Nord e Albania (che però non vengono mai citate nel documento) e accettare l’apertura dei loro negoziati di adesione già al Consiglio europeo del prossimo marzo. Questo anche se lo scoppiamento tra Skopje e Tirana a favore della prima appare sempre più probabile.

Accento intergovernativo

Il documento presentato dal Commissario all’Allargamento, l’ungherese Olivér Varhélyi, sancisce l’intervento sostanziale degli Stati membri in tutte le fasi del processo di allargamento ai più alti livelli, stabilendo ad esempio che, dopo la pubblicazione dell’Enlargement Package della Commissione, si riunisca una Conferenza intergovernativa per ogni Paese candidato che faccia il punto sulla situazione e stabilisca la strada da percorrere. Nel mettere gli Stati membri al posto di co-pilota per l’intero percorso, la Commissione intende quindi anche condividere le responsabilità, per così dire, nella buona e nella cattiva sorte, cercando di evitare lo scenario abbastanza scoraggiante verificatosi lo scorso ottobre, con uno Stato membro in grado di bloccare in dirittura di arrivo un processo politicamente faticosissimo e dagli alti costi (uno per tutti, l’accordo di Prespa tra Skopje e Atene sul cambio di nome per la Macedonia del Nord).

Resta da vedere, in ogni caso, se il documento adempierà al suo scopo tattico, permettendo dunque ai due Paesi l’apertura di negoziati che, in ogni caso, saranno lunghi e presteranno il fianco a ulteriori mercanteggiamenti politici. Appare poi incerto se la nuova metodologia potrà in ogni caso fornire quelle risposte strategiche necessarie affinché l’Unione europea possa fare accedere Paesi, come quelli dei Balcani occidentali, su cui il potere trasformativo e la condizionalità del processo di allargamento fanno sempre meno presa.

Sforzo di comunicazione

Una prima questione, a cui effettivamente il documento accenna, è quella della comunicazione strategica. Da troppo tempo, ormai, l’Unione non riesce a comunicare efficacemente non solo i benefit già elargiti ma, soprattutto, i costi reali della mancata compliance alla domanda di riforme, in un contesto in cui vari attori, soprattutto extra-europei, hanno gioco facile a mostrarsi come poli di attrazione alternativi, puntando spesso più alla forma, attraverso una comunicazione effettiva ed efficace, che alla sostanza di contenuti forti, su cui invece potrebbero far leva le Delegazioni dell’Unione europea presenti nei Balcani occidentali. Anche il pubblico degli Stati membri dovrà diventare sempre più un target della comunicazione di Bruxelles, per evitare che il tema dell’allargamento venga manipolato o eccessivamente semplificato a fini di consenso politico domestico.

Un secondo aspetto, legato al primo, è il coinvolgimento della società civile dei singoli Paesi che aspirano all’adesione, che spesso presentano istanze più avanzate rispetto ai propri governanti. Le istituzioni comunitarie, Commissione in primis, dovranno sempre più uscire dalla comfort zone dell’interlocuzione a livello ufficiale per confrontarsi, in modo sostanziale e oltre i consueti slogan, con le istanze dal basso, nel rispetto dei rispettivi ruoli.

La proposta della Commissione rappresenta comunque solo un primo passo di un processo che, verosimilmente, comporterà una buona dose di negoziati con gli Stati membri prima di arrivare ad un approdo definitivo. Sull’allargamento si gioca una partita non solo tecnica, ma essenzialmente politica e geopolitica, e forse questo concetto sta finalmente facendo capolino a Bruxelles e nelle capitali europee. Al di là di tutto, il no francese di ottobre ha avuto il merito di aver innescato il ripensamento di un processo divenuto ormai asfittico e privo di anima, ma ci vorrà un’ulteriore dose di coraggio da tutte le parti coinvolte – Unione europea, Stati membri, Paesi dei Balcani occidentali – per rilanciarlo affinché la costruzione europea vada avanti e il trauma degli Anni Novanta si chiuda del tutto.

Le opinioni espresse appartengono unicamente all’autore e non riflettono necessariamente l’opinione della Commissione europea o del Servizio europeo di azione esterna. 

Share: