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L’ASPIRAZIONE EUROPEA E L’ATLANTISMO DELL’ALBANIA, DA GIOVANE MEMBRO DELLA NATO A CONSOLIDATO E AFFIDABILE PARTNER PER LA SICUREZZA REGIONALE NEI BALCANI OCCIDENTALI

Di Fabrizio BUCCI

Ambasciatore d’Italia a Tirana

Alla luce del recente vertice NATO di Madrid che lo scorso giugno ha rilanciato con vigore un’Alleanza Atlantica uscita rinnovata e rinforzata dall’inizio del conflitto russo-ucraino (ne è la prova provata il nono allargamento che coinvolgerà Svezia e Finlandia), proviamo a guardare per un attimo ad un passato ancora non tanto lontano per la piccola Albania. Il vertice di Strasburgo-Keln del 4 aprile 2009 non solo celebrò il 60° anno di vita dell’Alleanza Atlantica nata a Washington qualche anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ma portò, con l’ingresso di Croazia ed Albania, a 28 i Paesi Membri, completando il sesto round di allargamento, poi perfezionatosi con un settimo nel 2017 (Montenegro) e un ottavo nel 2020 (Macedonia del Nord).

L’ingresso nella NATO dell’Albania segnò un punto di svolta epocale e un evento altamente simbolico non solo per l’Albania e la NATO, ma anche per l’Italia stessa. Il Paese delle Aquile, infatti, oltre ad essere stato uno dei primi paesi del sud est Europa a presentare la propria candidatura alla NATO, si era trasformato, negli equilibri geostrategici europei, da elemento perturbante della sicurezza continentale (quale era stato alla fine degli anni Novanta dopo il collasso politico-finanziario) in produttore di sicurezza ed elemento stabilizzatore anche al di fuori dei confini europei.

Precedentemente invece, il sostanziale fallimento dello stato avvenuto nel 1997, combinato con la cruenta instabilità determinata dalla guerra nella vicina ex Jugoslavia, aveva reso, infatti, l’Albania una potenziale minaccia per la sicurezza dell’Adriatico: l’azione di gruppi criminali transnazionali dediti ai traffici di droga, armi ed esseri umani, il contestuale scioglimento di forze armate e di sicurezza regolari, insieme con l’infiltrazione del jihadismo tra la comunità musulmana dei Balcani, ne aveva fatto una sorta di ventre molle dell’Europa, humus ideale per un’ulteriore destabilizzazione.

Per l’Albania divenire membro della NATO significò, inoltre, chiudere definitivamente con i decenni di isolamento internazionale causati dalla dittatura del regime comunista. Pur facendo parte ideologicamente e politicamente del blocco comunista ed avendo partecipato, nel 1954, alla creazione del Patto di Varsavia, aveva, come la vicina Jugoslavia, evitato di mantenere rapporti troppo stretti con l’URSS, temendone il cosiddetto “abbraccio mortale”. Questa cautela, nel 1961, si era tradotta, di fatto, in una prima rottura con Mosca: l’invasione sovietica della Cecoslovacchia (1968) indusse l’Albania ad uscire formalmente dal Patto di Varsavia, ormai percepito, essenzialmente, come longa manus dell’imperialismo di Mosca. Contestualmente, l’Albania stabilì, almeno fino al 1978, buoni rapporti con la Cina, percepita quale partner meno invasivo e alieno da mire egemoniche sui paesi limitrofi. Perseguendo una sorta di equidistanza tra la NATO e il Patto di Varsavia, l’Albania finì, tuttavia, per regredire ad uno stato di sostanziale irrilevanza negli equilibri mondiali.

Terminata la guerra fredda, l’Albania intraprese un virtuoso percorso di democratizzazione ed avvicinamento alle istituzioni euro-atlantiche, ampiamente sostenuto dalla popolazione, stremata da mezzo secolo di emarginazione internazionale e desiderosa di un paese più coinvolto nel processo di decision-making, capace di produrre sicurezza e stabilizzare le aree di crisi. Tirana, dopo aver contribuito ad una distensione nei rapporti tra Serbia e Kosovo, sostenne un ulteriore allargamento della NATO ai paesi dell’ex Jugoslavia ancora fuori dall’Alleanza, nella convinzione che rigurgiti di separatismo etnico e religioso, insieme con assetti territoriali privi di omogeneità etnica, avrebbero potuto nuovamente incendiare il Sud Est Europa. Superate le dottrine del containment e del roll-back, che avevano permesso di tenere gli USA dentro, la Germania sotto e l’URSS fuori, la NATO era giàdivenuta, grazie alle ondate di allargamento che si erano succedute dal 1999, un soggetto inclusivo e globale, capace di intervenire militarmente non solo in Europa (Bosnia, Kosovo, Macedonia) ma anche in Libia e Afghanistan, ben oltre i limiti geografici del Trattato istitutivo del 1949.

Quanto all’Italia, l’ingresso di Tirana quale membro nell’Alleanza avvenuta nel 2009, con il raggiungimento definitivo della fullNATO integration nel settembre del 2013, rappresentava un successo di rilievo; l’Albania è, infatti, per vicinanza geografica e legami storico-culturali, un importante partner nonché un’espressione identitaria, in chiave europea, dei Balcani occidentali che, senza alcun dubbio, rientra da semprenell’interesse strategico nazionale.

La storia dei rapporti tra l’Albania e la NATO inizia esattamente 30 anni fa, nel 1992: il Paese delle Aquile, infatti, è stato il primo tra i paesi appartenenti al blocco comunista ad annunciare pubblicamente di voler aderire all’Alleanza, presentando la domanda di ammissione nel Consiglio per il Partenariato Nord Atlantico. Il cammino dell’Albania verso la NATO trovò nuova linfa a seguito della crisi in Kosovo e nel 1999, dopo l’intervento militare dell’Alleanza contro la Serbia, l’Albania ottenne lo status di candidato-membro al vertice di Washington e iniziò a seguire il cosiddetto Membership Action Plan, il piano di riforme politico-militari alla cui realizzazione è subordinato l’ingresso nella NATO stessa. Il processo di avvicinamento dell’Albania ottenne una rinnovata spinta nel 2003 a seguito di due importanti eventi: da un lato, la firma della Carta dell’Adriatico tra i tre paesi candidati all’ammissione (Croazia, Albania e Macedonia) e gli USA (ispirata al cosiddetto Gruppo di Vilnius, che aveva favorito l’ingresso nella NATO delle Repubbliche Baltiche dell’ex URSS) e, dall’altro, la partecipazione albanese alla missione ISAF in Afghanistan.

Nel 2008, in occasione del vertice di Bucarest, l’Albania venneinvitata ad avviare i negoziati per l’ingresso nell’Alleanza e firmò i protocolli di adesione. Nel frattempo, la cooperazione con Italia, Turchia, Germania, Regno Unito, permise alle forze albanesi di acquisire una crescente capacità di operare in contesti multinazionali e partecipare a missioni di aiuto a popolazioni colpite da emergenze e disastri, anche grazie alla creazione, a Tirana, di un Quartier Generale NATO. L’anno dopo, il vertice di Strasburgo – Keln del 4 aprile 2009 sancì formalmente la conclusione di questo lungo iter.

L’esperienza e il know-how accumulati in svariate esercitazioni e manovre congiunte multinazionali, ha consentito negli anni all’Albania di crescere in maniera efficace al fine di raggiungere l’insieme degli standard tecnico-operativi previsti dalla NATO.Più recentemente, nel mese di settembre 2022, nell’ambito di un’importante esercitazione denominata “Biza-22”, il cosiddetto Light Enfantry Battalion Group, su base 2° Battaglione di fanteria della Forza Terrestre albanese – unità operativa che aveva già conseguito la certificazione NATO nel settembre 2018 – è stato dichiarato Combat Ready da un team NATO secondo i criteri CREVAL (Combat Readiness EVALuation).

Attualmente, le Forze Armate albanesi constano di circa 8mila effettivi e sono essenzialmente composte da una Forza Terrestre (che non dispone né di mezzi corazzati, né di pezzi di artiglieria), di una Forza Navale (che dispone di sole unità di pattugliamento costiero) e di una Forza Aerea molto snella (che, ad oggi, dispone di soli assetti ad ala rotante leggeri da trasporto e dipende interamente dalla NATO per quanto attiene alla difesa aerea: attività di Air Policing a cui l’Italia partecipa con continuità alternandosi con la Grecia.

L’Albania, fautrice di un articolato processo di integrazione regionale, è attiva in varie iniziative di cooperazione per il mantenimento della sicurezza e lo svolgimento di attività congiunte di peacekeeping, evidenziando da sempre la volontà di un rafforzamento dei rapporti con i paesi dell’area balcanica. In particolar modo, in merito alla Defence Cooperation Initiative(DECI), iniziativa a guida italiana, a carattere regionale, focalizzata sulla cooperazione tra Paesi dell’area adriatica e balcanica (a cui partecipano Albania, Austria, Croazia,Montenegro, Slovenia e Ungheria), il recente passaggio dell’Albania da “osservatore” a “membro” ne ha sancito il definitivo ingresso, rimarcando un’appartenenza oggi più che mai convinta alla luce dei delicati sviluppi geo-politici europei. Ne èchiara dimostrazione, la volontà da parte di tutti i membri di continuare ad incontrarsi annualmente per fare un punto sullo stato della cooperazione e per confrontarsi sulla situazione di sicurezza nel quadrante balcanico con un focus anche all’area mediterranea; proposta di revisione strategica dell’Iniziativa avanzata proprio dall’Italia e volta ad ampliarne gli orizzonti, andando ad affrontare anche le sfide provenienti del cosiddetto Fianco Sud, cui la Difesa italiana attribuisce particolare rilevanza.

L’Albania, fin dagli anni Novanta, ha preso parte a svariatemissioni di pace, sia nel contesto NATO che ONU ed UE: nel settembre 1996, ebbe inizio la prima missione in Bosnia-Erzegovina e, da allora, l’impegno albanese oltre confine è aumentato sia in termini di uomini impiegati che di teatri operativi interessati. L’elevato numero di uomini impiegato dal 1994 al 2021 (più di ottomila in tutto) rappresentano un risultato di notevole importanza, fra cui spicca la robusta presenza in KFORin rapporto alla popolazione nazionale, il cui comando, nel mese di ottobre 2022, è tornato ad essere affidato proprio all’Italia.

In conclusione, l’area adriatica, da terreno di potenziale confronto tra blocchi contrapposti (come è stato per mezzo secolo, con Italia, Grecia e Turchia a fungere da baluardo anti-sovietico) si sta trasformando sempre più in luogo di cooperazione e slancio comune verso la sicurezza, archiviando, definitivamente, quelle spinte localistiche e quel processo di dissoluzione violenta dell’ordine statuale che, negli anni Novanta, aveva portato al collasso dell’ex Jugoslavia. In tale contesto, va ad inquadrarsi ADRION, importante iniziativa per la coesione tra i Paesi dell’area adriatico-ionica: “spazio marittimo dove sono in gioco interessi geo-strategici rilevanti e di portata globale”. Queste sono le parole proferite dal Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, esattamente un mese fa a Venezia, in apertura della riunione ministeriale dedicata alle tematiche correlate. Tale iniziativa, al più alto livello fra Italia, Albania, Croazia, Grecia, Montenegro eSlovenia, rappresenta uno strumento politico e operativo multilaterale decisivo per ottimizzare presenza e capacità di operare congiuntamente nel quadrante europeo di riferimento regionale.

Ormai è sempre più evidente che l’aggressione russa all’Ucraina porterà con sé delle sfide legate alla sicurezza globale e soprattuttoa quella degli approvvigionamenti energetici, con sicuri riverberi anche sull’intero bacino del mediterraneo. Nei prossimi anni occorrerà proseguire sulla strada della cooperazione regionale militare finora con successo intrapresa, evolvendo verso una tutela sempre maggiore dei comuni obiettivi di sicurezza UE e NATO. Sono molte, infatti, le sfide in questo ambito, dalla difesa cyber a quella sottomarina, vera e propria quarta dimensione su cui occorrerà riflettere e agire compiutamente sin da subito al fine di accrescere le capacità operative necessarie in aderenza e nel rispetto della comune appartenenza sia all’Unione Europea che all’Alleanza Atlantica.

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