Home Approccio Italo Albanese MARIA TERESA LIUZZO: ”AUTOPSIA D’IMMAGINE”

MARIA TERESA LIUZZO: ”AUTOPSIA D’IMMAGINE”

Di Francesco Di Rocco

VERTICI LUMINOSI DI LIRICA, INACCESSIBILE AGLI URAGANI DEL ”CULTURAME” MERCANTILE CHE OFFENDE LA NOSTRA INTELLIGENZA!

L’IMMAGINE: PARABOLA DI UN SENSO IMMORTALE CHE SI FA LINGUA

di Francesco Di Rocco (poeta – scrittore – traduttore – attore – regista)

L’immagine: parola di un senso immortale che si fa lingua. Ma la lingua stessa non rende giustizia al testo di Maria Teresa. Ecco, allora, la ”voce” della poesia che da sempre, forse prima del tempo, narra la nostra infinita miseria: ecco allora la ”crudeltà” della parola che ci ricorda l’inesorabile condizione umana.

Una ”Weltanschauung ”, questa, che è una costante del lavoro di M. T. Liuzzo. Uno scavo continuo, una ricerca senza pace, a volte tormentosa, spesso senza speranza, nella psiche (nel senso ellenico antico). Meandri inestricabili, labirinti in penombra: questa è la sensazione forte che dà la lettura di ”Autopsia d’Immagine”.

Una vivisezione sofferta, una lacerazione dell’anima, e la lama inesorabile è la parola che affonda nel sangue e nella carne; e questa fisicità si ”sente” fino al brivido. Ci opprime dunque, una cecità, e rantoliamo nella nebbia, mentre la luna muore nel dramma: ecco il ”tesoro” linguistico di MARIA TERESA!

Tesoro invisibile, ma per la contradizione della poesia, palpabile tra le righe, racchiuso in un antico maniero invincibile dal tempo. Opera matura, questo libro di Maria Teresa Liuzzo, è l’impronta culturale di LEI, un’eredità fisica e di sangue, ”tra” esseri che vogliono fuggire, ma non dalla morte, che è l’approdo naturale, ma da quel vuoto infinito, o se si vuole, quell’andare senza meta.

Appunto il cammino. Un altro Nostòs, il luogo profetico della memoria, dove abita la poesia fin dall’inizio dei tempi. Ma sappiamo, che il tempo non ha storia, e dunque, se storia non è e non può che essere una cronologia dell’anima che annulla il passato, ma soffre il presente. ”Ieri” è figlio legittimo dell’anima, ci appartiene, è gemello del dolore, è l’espressione ”fisica” più nobile, ma è la ”lama ” che lacera di infiniti tagli e minuscoli brandelli di pelle.

E’ il cerchio che si quadra, è il conto che si chiude (attivo? passivo?), è un punto colorato, forse di malinconia, forse di altre nobiltà, un essere – non essere, talvolta beffardo, talvolta inafferrabile. Questo è il ”dono” di Maria Teresa: una voce di eco infinite, una parola tra le righe nitide di sangue.

Silloge che è ”il secondo tempo” della precedente, un itinerario senza meta (come può esistere una meta?). La stessa intimità drammatica.

Drammaticità che porta all’inevitabile pessimismo, ma non nel suo senso lessicale e semantico, ma, piuttosto una visione di impotenza un conflitto, ovviamente irrisolvibile, nell’intimità remota.

Non si può parlare di pessimismo, ma ”una serenità” consapevole accettata, seppur dolorosamente, senza rassegnazioni.

Come interpretare l’incipit ” / Non cedere ai rimpianti / a giovinezza trascorse / oppure / l’invisibile rosa che è il dubbio /”.

Poesia colta è quella di Maria Teresa, ma ricca di sonorità popolari di modi di dire, allegrie di paese, e lamenti di colori antichi. Vertici luminosi di lirica, inaccessibile agli uragani del ”culturame” mercantile che offende la nostra intelligenza! Diciamo grazie, Maria Teresa, per i colori dimenticati.

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